Fabio Amigoni
Il tempo in cui tutto è perduto
L’amicizia è il miracolo grazie al quale un essere umano accetta di guardare a distanza e senza avvicinarsi a quello stesso essere che gli è necessario come il nutrimento.
Simone Weil, 1942
Agire non è mai difficile. Agiamo sempre troppo e ci disperdiamo senza tregua in atti disordinati… Fare sei camicie con dei petali di anemoni, e tacere: è questo il nostro solo mezzo per acquisire potenza… […] Ciascuno di noi nasce con una camicina, che custodisce la propria integrità interiore… ed è l’unica cosa cui nessuno può rinunciare. Se altri ci mettono indosso un’altra camicia, di seta o di quant’altro, trasformano il nostro essere, fino a quando una creatura innocente, buona, che ha mantenuto la propria camicia originale… non ripristini il nostro essere uomini nella sua purezza.
In questo volume, dedicato alla figura e al pensiero di Simone Weil, sono presenti studi e riflessioni che negli ultimi anni la
Fondazione Serughetti La Porta ha promosso, raccolto e presentato: innanzitutto i contributi e le relazioni del seminario a lei dedicato in occasione del centenario della nascita. La prima parte del volume raccoglie i materiali, rivisti e aggiornati, degli atti di quell’incontro seminariale; nella seconda sono presentati nuovi contributi che, a partire dai testi della Weil, si confron- tano con le sfide etiche, politiche e culturali del nostro presente.
Pensare il presente con Simone Weil è, prima di tutto, un invito a confrontarci con il suo pensiero complesso, il suo percorso originale e la sua breve vita, senza alcuna pretesa di completezza. In secondo luogo è anche una riflessione sul nostro tempo che, come quello che Simone Weil ha vissuto e infinitamente deside- rato, è attraversato dalla stessa malattia di “sradicamento”. Questo tempo ancora si mostra “in balia della dismisura”, richiede uno sguardo nuovo per comprendere il malheur: la sventura dentro il comune spaesamento di uomini e donne che «non possono più sentirsi a casa negli spazi interiori del mondo che sono stati loro tramandati» (P. Sloterdijk).
Più che uno sforzo mentale Simone Weil richiede un estremo lavoro di “esposizione” che ci invita a ripensare il nostro agire. Seguendo molteplici tracce del suo pensiero e della sua vita, ci siamo ritrovati ad incontrarla e riscoprirla negli anni in alcuni luoghi sensibili della città, in diversi contesti sociali e culturali, incontrando interpreti, studiosi e artisti capaci di restituirci la sua contemporaneità: in un certo senso non abbiamo mai smesso di leggere e farci interrogare dalla figura scomoda di Simone Weil, né di incrociare l’attualità (e l’inattualità) del suo pensiero nella lettura delle trasformazioni antropologiche della città, cercando di coglierne in profondità i mutamenti.
«La nostra società soffre come quella di cui Simone Weil è stata lucida interprete. Ancora ci dominano una falsa idea della grandezza e lo scadimento del sentimento della giustizia; mai come in questi tempi l’idolatria del denaro impera e nel sistema sociale e culturale sembra aver perso ogni vitalità l’ispirazione religiosa». Così scrive Fulvio Manara nella presentazione degli atti del convegno per il centenario weiliano. Lui, che ne ha ispi- rato il progetto, ci ha mostrato la strada maestra per stabilire un rapporto fecondo con la vita e il pensiero di Simone Weil.
La sua ricerca filosofica ed esperienziale lo avvicinava a quello stile weiliano di interpretare la filosofia principalmente come in atto e pratica, come esperienza connessa con la “vita attiva” (non separata dalla vita contemplativa), capace di concepire i bisogni terrestri del corpo e dell’anima. La malattia della nostra epoca, secondo Simone Weil, è «un male venuto da lontano e infine esploso nel nostro secolo in forme devastanti» 5, un male che ha comportato una scissione nella coscienza e nei comportamenti, una frattura tra spirituale e secolare e l’impossibilità di trovare un punto di equilibrio personale.
Un altro elemento di convergenza tra Fulvio Manara e Simone Weil riguarda la ricerca di una politica nonviolenta, capace di dare corso ad una giustizia che non fa vittime. Manara ci offre un contributo prezioso nella lettura e nella traduzione di alcuni testi di Simone Weil6, che possiamo accostare ad altri testi fonda- mentali della nonviolenza, e ci invita a dialogare nelle “comunità di ricerca” in una ideale continuità tra l’opera non sistematica di Weil e i frammenti di pensiero, di pratica e di amicizia raccolti tra fonti antiche e moderne, di Oriente e di Occidente. Perché nulla vada perduto.
Fulvio Manara ci invita a ricominciare con Simone Weil risulta più evidente alla coscienza umana, chiede che ogni gene- razione abbia consapevolezza del compito di trasformazione inte- riore e di resistenza a cui è chiamata. A tale compito pare avviarci questo nuovo incontro, questa rilettura risonante delle pagine di Simone Weil, grazie agli autori e alle autrici di questo volume, studiose e studiosi competenti e appassionati, che nel segno dell’amicizia hanno offerto il loro contributo di riflessione.
Pensare e reinventare il nostro tempo con Simone Weil, oggi più che mai nostra contemporanea. Ella sta davanti a noi, per mostrarci come stare davanti al mondo.
Solo la luce che discende incessantemente dal cielo fornisce a un albero l’energia che gli permette di spingere in profondità nel terreno le sue possenti radici. L’albero, in verità, è radicato in cielo.
Solo ciò che proviene dal cielo è in grado di imprimere real-mente un segno sulla Terra.
Riconoscenti dell’amicizia che ha condiviso con la comunità della Fondazione Serughetti Centro La Porta, vogliamo dedicare questo lavoro a Fulvio Manara.
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