La teologia della creazione e le sfide della scienza I problemi, la bibliografia
Gianni Colzani
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Dopo secoli di
sostanziale immobilismo, la teologia della creazione è entrata in un periodo
d'intensa attività. Tra le ragioni che spiegano questa rinnovata vivacità va
certamente annoverato il rinnovamento biblico che, superata l'impostazione
genesiaca, si è mosso verso l'affermazione della centralità cristologica della
creazione; è stato il cammino degli anni '60 e '70: in essi il cristocentrismo
della creazione ha trovato un generale consenso ed ha avuto il merito di
orientare ad una teologia trinitaria della creazione. La sfida di questi ultimi
anni - gli anni '80 e '90 - é, invece, dominata dalla esigenza di un nuovo,
diverso dialogo con le scienze positive.
Al riguardo, l'impostazione
dominante era largamente segnata da una mentalità apologetica che, rivendicando
la diversità di orizzonte tra la razionalità teologica e quella scientifica,
aveva finito per condurre al vicolo cieco di una radicale estraneità tra esse.
In questo senso la maggior parte delle opere dedicate alla teologia della
creazione prescindeva completamente da ogni descrizione scientifica del mondo;
la teologia sottolineava a tal punto l'originalità del concetto teologico di
"creazione" - altro rispetto a quello di "cosmo", di
"universo", di "natura"- da pensarlo come alternativo ad
essi. Per questa via la teologia della creazione era giunta a contrapporre alla
visione scientifica una sua, diversa concezione del reale che, per lo più,
denunciava il carattere astratto di una metodologia scientifica che raccoglieva
la sua descrizione del reale attorno a un mondo governato da leggi necessarie
per contrapporvi il carattere storico di una fede che faceva dipendere le sue
scelte da una attenzione a quella storia che era segnata dalla centralità di
Gesù Cristo.
Questa
impostazione aveva le sue radici nella teologia della creazione di K. Barth:1
questi, considerando la creazione come il presupposto della alleanza
cristologica, indicava il fondamento ultimo di ogni realtà storica nella
elezione e nel giudizio, per altro cristologicamente qualificati, e risolveva
ogni eventuale tensione tra il mondo creato e l'opera salvifica affermandone la
costitutiva coincidenza in Cristo, sapienza di Dio. La problematica cosmologica
era così recuperata e valorizzata ma lo era esclusivamente in un quadro
storico-salvifico, ampliato al punto da comprendere la totalità del reale.
Questa teologia di Barth si era largamente diffusa e, poiché la logica
storico-salvifica era la logica del dialogo tra Dio e l'uomo e culminava nel
dono della grazia, il risultato fu, ben presto, una concentrazione della
creazione in termini salvifici e antropologici. «Non è più possibile ciò che
per lungo tempo più o meno innocentemente si è fatto, di credere cioè che si
potesse giungere alla fede nel mondo come creazione di Dio».2 Per
Gogarten, che pubblica il suo lavoro nel 1967, «una fede nel mondo come
creazione di Dio, che non sia solo un'interpretazione o visione del mondo, ma
veramente fede in Dio creatore»3 è possibile solo a partire dalla rivelazione e, in forza di essa,
deve escludere con forza, come ideologica, ogni visione del mondo. Dio e il
mondo, insomma, non erano componibili in un unico atto di fede; anche se il
mondo poggia sul volere divino, «l'affermazione della creazione ha così poco a
vedere con la natura scientificamente indagabile, che già nella nomenclatura
stessa si esprime la prospettiva del tutto diversa: la teologia non parla di
natura ma di creazione».4
Il risultato di
tutto questo fu una incertezza nella collocazione del tema della creazione,
collocato da alcuni in un contesto cristologico e spinto da altri verso
orizzonti escatologici; anche là dove venne lasciato nella antropologia, il
tema della creazione fu, però, interpretato secondo le coordinate soggettive
della creaturalità. Ne venne una comprensione che manteneva la teologia della
creazione in uno splendido isolamento: l'inattaccabilità di questa verità da
parte del pensiero e delle scoperte scientifiche era pagata con la sua pratica
insignificanza. Questa prospettiva non è più la nostra. In termini storici si
dovrà riconoscere che il dibattito ecologico, proprio degli anni '70, una volta
superata l'accusa di una fede che - con il suo antropocentrismo - avrebbe
animato e giustificato una civiltà predatoria e distruttiva dell'equilibrio del
cosmo, finirà per imporre una nuova attenzione alla concezione moderna della
natura; il confronto con la scienza risulterà un momento essenziale di questo
nuovo orizzonte. Già con gli anni '70 inizia quindi un dibattito tra fede e
scienza che diverrà cruciale nei decenni seguenti. In questo lavoro vorrei,
innanzi tutto, offrire una sintesi della problematico scientifica, non sempre
sufficientemente conosciuta negli ambienti teologici, per esaminare poi la
accoglienza e le risposte che essa ha ricevuto da parte dei teologi.
l.IL
DATO SCIENTIFICO
La cosmologia con cui la
teologia si era tradizionalmente misurata era la cosmologia meccanicistica, era
cioè la cosmologia che aveva costituito il moto quale principio di spiegazione
dell'universo fisico; concepito come un meccanismo in moto, l'universo
prescindeva sostanzialmente dal tempo ed era pensato come uno spazio illimitato,
al cui interno collocare innumerevoli galassie e sistemi solari. A. Koyré5
ha ripercorso la storia di questa teoria chiarendone il lento imporsi, non privo
di resistenze, e ne ha indicato il cuore nella sintesi tra la concezione
copernicana del cosmo ed il nuovo modello di scienza impostosi con Galileo.
Questa fusione farà sì che la cosmologia
non
sia tanto il risultato di una osservazione astronomica accurata ed ormai in
grado di avvalersi di supporti tecnici prima sconosciuti quanto, piuttosto, il
frutto di una costruzione della mente. Dopo che la rivoluzione epistemologica
della scienza avrà posto al suo centro- più che l'osservazione empirica- il
procedere per formulazione e verifica di ipotesi matematicamente sensate, anche
la cosmologia procederà per modelli matematici e si adopererà per decifrare
l'ordine logico nascosto dietro il dato sensibile.
Questo
sforzo é stato solo parzialmente recepito dalla teologia che, per la sua
mentalità apologetica, quest'ultima era più portata a rimarcarne i limiti;
nella sua spiegazione del mondo, la scienza non avrebbe mai potuto superare il
limite dello sperimentale ed avrebbe necessariamente dovuto accontentarsi di
spiegare il "come" dei fenomeni senza mai raggiungere quel livello di
"senso" che sarebbe, invece, proprio della teologia. La scienza - si
riteneva - aveva dei limiti congeniti e insuperabili, dovuti al suo stesso
metodo. Questa convinzione ha finito per scavare un abisso di disinteresse tra
scienza e teologia; senza troppo preoccuparsi dei complessi dibattiti
cosmologici, la teologia riteneva di poter esprimere un sapere al riparo da
eventuali contestazioni scientifiche. E' così mancato qualsiasi dialogo con la
scienza con il risultato che la teologia si trova oggi a dover inseguire il
sapere scientifico per riaprire un campo troppo a lungo disertato.
La
cosmologia scientifica odierna
Il
primo compito che spetta al teologo é quello di recuperare i termini della
nuova mentalità scientifica. Per comodità li possiamo raccogliere attorno a
tre fondamentali dati: l'apporto della termodinamica, la teoria della relatività
e la fisica quantistica. La termodinamica, che studia gli scambi energetici, é
forse l'apporto più alto della scienza ottocentesca; il suo apporto si basa sia
sulla certezza che la quantità totale di energia disponibile non varia, dato
che nulla si crea e nulla si distrugge, sia sulla convinzione che, in ogni
scambio, c'é una certa dissipazione di energia sotto forma di calore. Da qui la
convinzione che l'entropia dell'universo aumenti. Il risultato di questo modello
è la percezione che il cosmo possiede una direzione temporale che gli è
costitutiva: é irreversibilmente incamminato verso una fine6. La
teoria della relatività abbandonerà la concezione dello spazio come una scena
fissa e immobile sulla quale si distribuisce la realtà fisica per pensarlo,
invece, come un insieme di relazioni. Ne viene una concezione dinamica che
impedisce di ritenere che un avvenimento sia inquadrabile su uno sfondo
spazio-temporale uguale per tutti; ogni avvenimento é unico e si qualifica per
il suo specifico contesto. Qui lo spazio é ormai un concetto dinamico ed,
oltretutto, pure comprensivo del tempo: 7 comprende tutto ciò che é
simultaneamente presente e che vicendevolmente si influenza. Questa visione
obbliga a ripensare la presenza di Dio al mondo: come ogni presenza, questa non
andrà affermata in assoluto ma in ordine ad un suo preciso sistema di
riferimento, da qualificare sulla base dell'atto creatore e della eternità del
creatore. L'ultimo dato, infine, é
quello della fisica quantistica; questa presentazione della fisica nucleare,
precisata dal principio di indeterminazione di Heisenberg, mette definitivamente
termine ad ogni prospettiva determinista ma non alla ricerca di un fondamento
ordinato del mondo.8 Provando a svilupparne la filosofia sottesa,
H.P. Dürr9 ha collegato l'indeterminatezza di questa fisica con il
concetto di "possibilità", aprendola così positivamente al divenire
e al futuro.
Su questa
base di pensiero, la cosmologia scientifica del nostro tempo ha provato a
formulare una spiegazione dell'universo, una spiegazione cioè in grado di
integrare sia quanto la fisica atomica dice circa gli elementi costitutivi del
mondo sia quanto l'astronomia indica a proposito delle galassie e dei sistemi di
galassie. Le scoperte di E. Hubble circa un universo popolato da galassie simili
alla nostra ma che si allontanano dalla terra a velocità elevatissime da una
parte fornirono una conferma
alla teoria della relatività10 e dall'altra permisero di introdurre
una nuova convinzione: il
nostro è un universo in
espansione.11 Fu la teoria formulata da W. De Sitter ed avallata da
A. Einstein. Questa teoria fu confermata dalla ipotesi di G. Gamow 12
che dovesse esistere una radiazione di microonde cosmiche, un radio-rumore da
considerare come residuo delle trasformazioni iniziali del cosmo; formulata nel
1948, questa ipotesi fu casualmente verificata nel 1965 da A. Penzias e R.
Wilson, due radioastronomi che, lavorando alla messa a punto di ricevitori-radar
per satelliti, intercettarono una radiazione cosmica di tre gradi Kelvin (cioè
meno 270 gradi centigradi), identica in tutte le direzioni.
Questi dati hanno portato gli scienziati da una parte a ritenere che il
cosmo sia il risultato di un processo evolutivo e, dall'altra, a formulare
modelli matematici in grado di esprimerlo. Queste concezioni del processo di
sviluppo dell'universo non mancano di interpellare il pensiero credente e, per
la verità, presentano un universo che sembra avere ben poco in comune con
quello creato da Dio secondo le scritture. S. Hawking, ad esempio, giunge a
formulare l'ipotesi di un universo illimitato e senza confini e, per questo
stesso, totalmente autosufficiente e contenuto in sé stesso. Un simile universo
non può non mettere in crisi l'immagine tradizionale di un Dio che, nella sua
potenza creatrice, è colui che permette agli eventi di realizzarsi ed
all'universo di evolversi:
«Finché
l'universo ha avuto un inizio, noi possiamo sempre supporre che abbia avuto un
creatore. Ma se l'universo è davvero autosufficiente e tutto racchiuso in sé
stesso, senza un confine o un margine, non dovrebbe avere né principio né
fine: esso, semplicemente, sarebbe. Ci sarebbe ancora posto, in tal caso, per un
creatore?».13
Una
simile visione di un mondo, illimitato quanto al suo inizio e quanto al suo
termine, non é l'unica. Altri propongono ipotesi diverse; H. Everett, 14
ad esempio, ritiene che vi siano molti mondi, ognuno con le sue leggi e le sue
condizioni proprie: se il loro numero é immenso, allora é possibile che in uno
di essi - per caso - le condizioni siano quelle giuste per lo sviluppo della
vita e - naturalmente - quest'unico universo é quello in cui viviamo. Tra le
varie ipotesi possibili, meritano una certa considerazione sia la presentazione
del mondo come sistema aperto sia la sua presentazione come sistema capace di
autoregolazione. La presentazione del mondo come "sistema aperto", 15
intende indicare un mondo aperto a quel futuro necessario per lo sviluppo
temporale dei processi di modificazione. Ovviamente la maniera di intendere il
termine é poi diversa a secondo delle diverse ipotesi: chi insiste sulla
informazione come principio energetico dell'improbabile e della novità, chi
invece pensa ad un sistema aperto allo scambio di energia con il suo ambiente e
chi, infine, ipotizza un universo che si espande all'infinito fino a sperdersi
nello spazio. Altri ancora ricorrono all'idea di un sistema capace di
autoregolazione o autorganizzazione: 16 in questo caso, il processo
evolutivo é visto soprattutto come un processo organizzatore che, in quanto non
totalmente determinato, appare capace di una sua "risposta" alla
situazione che si crea volta per volta. Di fronte alla possibilità di fenomeni
negativi, questa teoria vede nella vita un principio teleologico capace di
trasformare l'universo in conformità ai propri scopi. Se non é il creatore ad
essere all'opera in questo processo cosmico,17 allora bisognerà
pensare ad una divinità immanente, ad uno "spirito dell'universo".18
Questo processo non può che attribuire una importanza sempre più grande al
caso; se, infatti, le informazioni fossero trasferite in modo inalterato da una
realtà ad un'altra non accadrebbe mai nulla di nuovo. Pur in un quadro di
regole, l'universo non può essere pensato senza il caso: ha bisogno del caso e
della necessità per diventare, in miliardi di anni, straordinariamente
complesso e articolato. L'autore che più di ogni altro ha valorizzato il caso
è stato J. Monod quando, anni fa, scriveva che «soltanto il caso é
all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera, il caso puro, il
solo caso. Libertà assoluta ma cieca alla radice stessa del prodigioso edificio
dell'evoluzione».19 Una simile visione conferisce al caso e,
addirittura, al caos un significato profondamente positivo: Prigogine e Stengers20
indicano come residuo di platonismo la convinzione che il caos sia
necessariamente sinonimo di negativo mentre Sommer parla, al riguardo, di un
gioco di forze naturali e interattive che danno un risultato ordinato ed, alla
fin fine, risalgono a Dio21
Eigen22 poi, rifiutando ogni confine tra
l'animale e l'uomo, svilupperà una teoria del processo evolutivo come "metaevoluzione"
che dall'ambito molecolare trapassa in quello fisico ed, addirittura, in quello
etico. Qui il canmmino della evoluzione si stacca dai dati oggettivi per far
posto a valori etici e religiosi.
Il
carattere interdisciplinare di molte di queste prospettive spiega gli
sconfinamenti di metodo di molti di questi autori. Per quanto riguarda Dio, in
particolare, raramente questi autori conoscono o discutono le tesi della
teologia
cristiana
confessionale; per lo più sviluppano il loro pensiero cogliendo, se mai, delle
affinità o delle analogie con il
pensiero
delle religioni orientali. Nel suo lavoro Dio
e la nuova fisica,23 , P. Davies non si preoccupa gran che di
precisare chi Dio sia ma, chiarendone il ruolo in vista di una spiegazione della
natura, inclina a presentarlo come uno "spirito" che pervade e
vivifica ogni cosa. In modo simile si comporta F. Capra24 che non
esita a contrapporre una visione occidentale del mondo, creazionista, ad una
visione che salda la nuova fisica con elementi di pensiero presi dal buddismo e
dall'induismo, dal taoismo e dallo zen e nella quale domina la consapevolezza
della unità e della interrelazione di tutte le cose. Il mistico esperisce
quella unità che lo scienziato coglie solo con un giudizio sintetico che supera
le differenziazioni. In questa visione unitaria, al di là dei dualismi di
spazio-tempo e di energia-materia, il mondo é colto come unità, é colto come
«il mondo spirituale della non-distinzione».25 Il mancato riconoscúnento
del carattere cristiano di questa coincidentia oppositorum porta Capra ad ispirarsi piuttosto alla
danza di Siva:26 il ritmo cosmico è come una danza nella quale le
cose sorgono, si uniscono e si disgregano. Solo raramente ci si ispira a temi
cristiani; là dove avviene, ci si richiama però al Cristo cosmico del prologo
di Giovanni.27 In
pratica il mondo é letto in un quadro di correlazioni dove Dio
sta-dietro-a-tutte le cose secondo una logica apofatica dove l'inesprimibile
Altro si manifesta in tutta la sua sorprendente prossimità. E' molto facile,
però, che questo processo di autorganizzazione sfoci in una prospettiva di
autocreazione. Lo sforzo di saldare la dimensione spirituale della
autorganizzazione del mondo con un processo storico trova qui il suo punto più
alto: si tratta di mantenere la polarizzazione Dio-mondo senza cadere nel
monismo panteista da una parte e senza ridurla a pura separazione dall'altra.
Ma, certo, l'analogia avrebbe bisogno di molto lavoro per essere teologicamente
soddisfacente.
Il
principio antropico
Il
quadro cosmico appena tratteggiato sancisce definitivamente la rottura
copernicana con la pretesa centralità della terra nell'universo; rimane però
aperto l'interrogativo sull'uomo. Chi è l'uomo e quale è la sua funzione in
questo universo? A provare a
rispondervi sarà quella teoria che va sotto il nome di principio antropico:
presente già dal 1961 negli studi di R.H. Dicke che, nel processo cosmico,
indagò le condizioni di possibilità della produzione degli elementi
indispensabili alla vita, come il carbonio, la teoria del principio antropico fu
ripresa da B. Carter nel 1974 28 e divulgata dall'astronomo Barrow e
dal fisico Tipler. 29
L'intento
era quello di integrare la dimensione spirituale in un processo fondamentalmente
fisico. «I fisici sono riluttanti ad ammettere che la Mente sia degna di
considerazione nelle loro teorie. Anche la meccanica quantistica, che si pensa
abbia introdotto l'osservatore nelle scienze fisiche, non fa alcun uso delle
proprietà intellettuali; una lastra fotografica può funzionare altrettanto
bene da osservatore». 30 Opponendosi a questa impostazione, gli
autori che si rifanno al principio antropico ritengono che le condizioni di
sviluppo dell'universo siano tali da legittimare delle conclusioni sul suo
insieme e sulle sue proprietà e che, di conseguenza, sia doveroso affermare che
l'intero processo cosmico è orientato ad una vita intelligente.31 Il
nostro universo sviluppa le costanti indispensabili per il nascere ed il
crescere della vita trovando ogni volta un complesso equilibrio tra espansione
cosmica e forza gravitazionale, tra calore ed energia; è l'evoluzione cosmica a
produrre prima l'idrogeno e l'elio, poi l'ossigeno, il carbonio, l'acqua e, più
in genere, gli elementi indispensabili per la vita. «Non vi è nessuna ragione
fisica per cui le costanti dell'universo debbano avere i valori che hanno: delle
infinite possibili combinazioni l'universo presenta appunto quelle che sono
compatibili con la Noosfera: la Noosfera è quindi necessaria per spiegare la
struttura dell'universo».32 La coerenza delle trasformazioni
cosmiche porta Barrow e Tipler ad assegnare al principio antropico il ruolo di
criterio di selezione tra i molti mondi possibili: l'universo è ordinato in
modo da produrre, al suo interno, un osservatore intelligente. Seguendo fin
dall'inizio un codice di informazioni mirate alla nascita della intelligenza,
questo universo ha "voluto" l'uomo come il suo vertice, come il suo
culmine.
In
questo modo il principio antropico reintroduce il finalismo nella spiegazione
dell'universo: considerando l'universo come uni-totalità in sviluppo, indica
nella vita intelligente il senso pieno ed ultimo di questa evoluzione.
Queste prospettive interpellano certamente la teologia e chiedono di
essere integrate in una più accurata visione di Dio.
Il dibattito sui fossili e sulle specie estinte, dato proprio di ogni
teoria evolutiva, ha mostrato la fragilità di ideologie prive di ogni dialogo
con le scienze: ricostruendo questo dibattito, Greene riporta il pensiero di J.
Ray, un naturalista e teologo del '600, secondo il quale la estinzione di una
specie è «una supposizione che i filosofi finora non sono stati disposti ad
ammettere, ritenendo che la distruzione di una specie sia uno smembramento
dell'universo ed un renderlo imperfetto, mentre essi pensano che la divina
provvidenza mira soprattutto a conservare e a rendere stabili le opere della
creazione».33 Al di là di questo dibattito, oggi visto con più
serenità, sono però almeno due le questioni che la tematica del principio
antropico pone alla teologia. La prima è quella del superamento di ogni
separazione tra materia e vita, tra biologia molecolare e coscienza spirituale e
libera. Si sa che, al riguardo, la teologia ha sempre avuto una posizione molto
articolata: pur rifiutando con decisione ogni dualismo, tanto greco che
cartesiano, ha sempre mantenuto una certa distinzione tra anima e corpo.
Questa teoria si trova oggi a doversi confrontare non solo con lo
sviluppo del pensiero moderno e le sue tesi del soggetto, della coscienza, del
corpo vissuto ma anche con la psicanalisi e con la scienza. Popper, ad esempio,
ha in un certo modo ripreso il dualismo cartesiano con la sua teoria dei tre
mondi: quello fisico, quello del pensiero e quello dei suoi prodotti. 34
Qui vi sono, probabilmente, più domande che risposte:35 quale
rapporto esiste tra le attività psichiche, alcune delle quali sono presenti
anche negli animali, e il cervello umano? quale rapporto tra i meccanismi del
cervello e la mente autocosciente? quale rapporto tra la nozione scientifica di
mente autocosciente e quella teologica di anima? quale possibilità di
trascendenza è insita nelle dinamiche del cosmo? ed, infine, quale rapporto si
dà tra questa eventuale trascendenza ed una visione olistica dell'universo? In
ogni caso si dovrà prendere atto che la logica evoluzionista cammina verso un
superamento di ogni separazione tra le diverse forme di vita e le pensa in un
quadro sempre più integrato. La seconda questione è quella del male. Anche se
la formulazione è apparentemente chiara è evidente che il termine
"male" avrebbe qui bisogno di parecchie precisazioni; con
"male" si intendono qui troppe cose e troppo differenti tra loro. Si
va da chi pensa allo sviluppo espansivo del cosmo ed alla sua eventuale
drammatica conclusione36 a chi fa osservare come la concreta linea
evolutiva dell'universo, pur essendo perfettamente legittima, non sia per questo
sempre priva di conseguenze angoscianti e drammatiche per l'uomo;37
da: chi nutre interessi etologici che mettono al centro del dibattito
l'aggressività negli animali e nell'uomo38 a chi affronta la
questione propriamente morale ed il suo rapporto con la dottrina del peccato
originale. La trattazione di questi temi è solo all'inizio39 e, di
sicuro, la relazione tra male e peccato andrebbe precisata un po' meglio di
quanto normalmente non si faccia; non si può però tacere l'importanza di
considerare spazio di interesse etico non solo il rapporto con sé stessi ma
anche quello con tutta la terra e, addirittura, con la globalità del cosmo. Da
una parte si può cominciare a guardare con interesse la possibilità di
riportare le grandi sciagure naturali sotto un crescente controllo umano e
dall'altra ci si potrebbe orientare verso il favor vitae40 come
verso un primo criterio di etica cosmologica.
Questa
ripresa della antropologia e dell'etica nella attuale discussione sul principio
antropico spiega il ritorno a P, Teilhard de Chardin. Il suo pensiero è oggi al
centro dell'interesse di teologi, scienziati e credenti delle più diverse
religioni.45 Il punto di maggior interesse per il nostro problema è
certamente la presentazione del Cristo cosmico, la presentazione del Punto Omega
o meglio del termine dell'intero processo evolutivo. Mentre, però, non vi è
alcun dubbio sulla dimensione cosmica della salvezza, la presentazione del
Cristo cosmico non è senza esitazioni di modo che sia la delineazione del suo
pensiero sia la sua condivisione, su questo punto specifico, non è senza
difficoltà.
Origine
e fine del cosmo
La
considerazione del cosmo come universo in espansione ha trascinato con sé una
rinnovata attenzione alle questioni della sua origine e del suo termine. Una
volta superata l'ipotesi di un universo stazionario, la convinzione di un
universo in espansione non mancò di introdurre il problema delle sue origini:
l'ipotesi di gran lunga prevalente è quella del big bang.42
Il termine fa introdotto nel 1950 da F. Hoyle e ben presto si impose anche
se, nel 1974, G. Ellis e A. King provarono a presentare l'origine dell'universo
come un "vagito", intendendo indicare con quel termine valori di
densità e di temperatura molto più moderate. Per. quanto di solito si parli
del big bang come dell'inizio dell'universo, andrà pur ricordato che
coincide con il cosiddetto momento di Plank, cioè con quel momento a partire
dal quale è possibile elaborare calcoli matematici e teorie fisiche;
antecedentemente ad esso vi è un istante- 10-43 secondi- totalmente
avvolto nella indeterminazione. Nel big
bang si realizza una singolare forma di potenza termica ed energetica che è
in grado di realizzare una potenza di incontro e di interazione tra elettroni
che genererà i primi basilari elementi dell'universo: l'idrogeno e l'elio ed,
in misura infinitesimale, deuterio e litio. Da questa prima esplosione comincerà
l'evoluzione e, con essa, la storia dell'universo.
Per
quanto riguarda la fine del cosmo, è evidente che bisogna distinguere tra
l'eventuale fine del sistema solare e la fine dell'universo in senso lato.43
E' presumibile che il sistema solare segua l'evoluzione tipica di quelle stelle
medio-piccole, a cui il sole è assimilabile: si può quindi prevedere un futuro
esaurimento della energia solare che, tra miliardi di anni, darà origine prima
ad una fase di instabilità e poi ad un lento esaurimento del sole stesso. Il
sole si spegnerà come si spengono le stelle nane, in via di esaurimento. Quanto
all'universo, è plausibile che il movimento espansivo raggiunga in futuro un
suo punto critico; oltre esso o l'universo si dissolverà in un insieme di
oggetti in via di allontanamento e di energia in via di decadimento o, là dove
la forza gravitazionale contraria alla espansione tornasse ad avere il
sopravvento, darà inizio ad un movimento contrario di implosione fino al suo
annullamento in un big crunch, in un
unico buco nero. Non manca però chi, sviluppando il movimento evolutivo in
forma ascensionale, parla di una fine del mondo come trasfigurazione di una
materia che perde la sua opacità e si trasforma fino ad una trasparenza capace
di nuova relazionalità. A farlo sarà F.J Tipler 44 che, al seguito
di Teilhard, chiede un ripensamento dei temi escatologici cristiani e legge la
resurrezione della carne come un misterioso programma di rinnovamento
dell'universo, dove l'informazione accumulata dalla autocoscienza umana conoscerà
un ultimo, definitivo salto che porterà le persone ad un ultimo decisivo salto
nella comunione con il Dio della vita. Con questo la alleanza, che è il segreto
della creazione manifesterà proprio in essa tutta la sua ricchezza, tutto il
suo splendore.45
2.
LA POSIZIONE DEI TEOLOGI
Queste
posizioni, proprie di un sapere ormai interdisciplinare, esigono dalla teologia
una rinnovata attenzione; in un'epoca in cui le diverse branche del sapere, pur
nel rispetto delle proprie specificità, si muovono verso un sapere integrato,
verso il sapere dell'uomo, non è certo il caso di trincerarsi dietro la pura
riproposizione della diversità delle discipline. Occorre un atteggiamento
diverso, una metodologia diversa che, guardando al contenuto, Moltmann46
chiama comunionale e, mirando invece al nodo interdisciplinare, Ganoczy47
chiama "dialogica". Ovviamente questo esige un superamento sia della
contrapposizione sia della separazione di scienza e fede, cosa credibile solo là
dove ci si muove verso una diversa impostazione del problema. Senza affrontare
l'annosa questione, vorrei solo indicarne il punto d'arrivo:
«Non
si tratta di riproporre il vecchio argomento di convenienza volto ad inglobare
la scienza al servizio della fede: sarebbe un assumerla apologeticamente,
ricadendo nel concordismo o nella indebita ingerenza nel campo scientifico; non
si tratta neppure di introdurre un discorso valoriale all'interno della
osservazione scientifica. Si tratta, invece, di attenersi al livello
epistemologico della problematica e di chiedersi se il dono della fede non ha
una funzione illuminante anche per lo scienziato e per la cultura scientifica:
l'accesso al punto di vista altrui non fa perdere la propria specificità ma
conduce ad arricchire la propria, originale capacità di osservazione e di
sintesi».48
Ovviamente
si può ritenere anche il contrario: si può, cioè, pensare che pure la
problematica scientifica è arricchente e addirittura indispensabile per il
teologo, almeno nella misura in cui la attenzione al dato culturale è
costitutiva della razionalità teologica.
Il
primo risultato di questo ripensamento è, probabilmente, la distinzione tra
teologia naturale e teologia della natura49 e la convinzione della
assoluta urgenza della seconda. «La teologia della natura è un'interpretazione
della realtà conosciuta con l'esperienza alla luce della divinità già nota o
anche soltanto intravista».50 A mio parere, l'elaborazione di questa
teologia dovrebbe aver ben presente sia il dettato del Lateranense IV che «tra
il creatore e la creatura, per quanto grande sia la somiglianza, maggiore è la
differenza»51 sia l'interpretazione che il Vaticano I dà del testo
di Rm 1,19-20.52 Su questo sfondo è legittimo aprire un dialogo tra
la teologia e la attuale cosmologia. Per favorirlo vorrei presentare una
recensione delle principali opere impegnate in esso; insieme ad una esigenza di
aggiornamento, l'intento sarebbe quello di indicare la base per un dialogo
fruttuoso. Senza pretendere di essere esaustivo, ricordo qui alcuni lavori che
ritengo di particolare interesse per la nostra questione; nel farlo seguirò un
ordine cronologico, salvo l'anticipare questioni di metodo.
l.
Questioni di metodo
Comincerò
con il ricordare alcune questioni metodologiche. Sul rapporto scienza-fede, con
particolare attenzione agli aspetti cosmologici, non mancano le pubblicazioni;
qui ne ricordo cinque.
1.
W. Pannenberg, Kontingenz und
Naturgesetz, in A.M.K. Müller - W. Pannenberg, Erwägungen
zu einer Theologie der Natur, G.
Mohn, Gütersloh 1970, pp. 33-80.
Pannenberg
inquadra il problema riconoscendo chiaramente che la teologia dialettica,
impegnata a criticare la teologia naturale, ha finito per trascurare la teologia
della natura, un tema oggi indispensabile per il dialogo con le scienze. Da
parte sua Pannenberg ritiene la nozione di "creazione" inadeguata per
questo dialogo, vuoi perché è irraggiungibile dalla scienza vuoi perché non
comprende tutti gli aspetti del problema. Da parte sua ritiene di poter trovare
una base di dialogo in due concetti presenti nella tradizione cristiana, quello
di "contingenza" e quello di "legge di natura". Pur essendo
un concetto filosofico, il primo ha il suo senso nell'indicare la non necessità
del mondo e nel precisarlo di conseguenza, come aperto ad altro e imprevedibile;
il secondo, invece, rimanda alla regolarità del cosmo e del suo divenire.
Pannenberg ritiene, perciò, che mentre la concezione greca pensa il cosmo come
segnato da un ordine eterno, la visione cristiana lo comprende come aperto a Dio
e, in lui, anche a nuove possibilità; certo anche le scritture sanno che vi
sono nel cosmo comportamenti stabili ma, in ultima analisi, li riportano a Dio e
li comprendono in ordine a lui. Questo
discorso biblico non offre comodi concordismi; offre, però, un quadro per
comprendere ciò che è compatibile con le scritture e ciò che non lo é. Vi è
allora da chiedersi se la scienza attuale fa spazio alla contingenza. Di per sé
l'interesse della scienza non riguarda la contingenza ma i processi del cosmo,
anche quelli irripetibili e invertibili, e le leggi che li guidano. Il nostro
autore ritiene che l'irripetibilità di alcuni processi evolutivi implichi la
necessità di non assolutizzare le leggi di natura: queste vanno comprese in un
quadro dominato dalla imprevedibilità. Si può allora concludere che le leggi
di natura non escludono la contingenza, mentre l'imprevedibilità
dell'evoluzione risale alla fedeltà di Dio come alla sua spiegazione ultima.
Questa teologia della natura, pur rispettando la diversità dei saperi,
fa perno sulla contingenza come cardine della libertà di Dio e dell'uomo; non
ne deduce il big bang ma vi riconosce
un modello cosmico compatibile con le sue convinzioni.
2.
E. Cantore, Scientific man, ISH Publication, New York 1977 (tr. it. a cura di L.
Valfré - P. Pincini, L'uomo scientifico.
Il significato umanistico della scienza, Dehoniane, Bologna 1988, pp. 560).
In
questo lavoro l'autore, laureato in filosofia e teologia e ricercatore presso l'Institute
of Scientific Humanism di New York, sintetizza l'apporto di una ricerca più che
trentennale. Il lavoro ha un andamento sperimentale e speculativo al tempo
stesso; infatti, a partire dalla ricerca scientifica propriamente detta, risale
al ricercatore o, più esattamente, all'uomo che in questa avventura acquisisce
una singolare esperienza di sé. Al centro sta perciò la ricerca scientifica
così come è, ricostruibile in base alla storia, alla psicologia e alla
sociologia: queste illuminano una mente aperta e disponibile ad interrogarsi,
che fa della ricerca scientifica una singolare esperienza conoscitiva, capace di
stupore, attenta all'imprevedibile e sensibile all'Assoluto. Staccandosi dalle
abituali distinzioni tra scienze della natura e scienze dello spirito, Cantore
rivendica con forza il carattere umanistico della scienza: è una splendida
avventura umana che sta al servizio dell'uomo. Impressiona non poco che Cantore
presenti l'appassionata dedizione dello scienziato al suo lavoro come una pena
d'amore (p. 206) ed indichi in questo coinvolgimento la condizione
indispensabile per ogni vera ricerca. In
questa prospettiva la ricerca deve affrontare la seduzione del tecnicismo e,
soprattutto, deve recuperare l'inadeguatezza umanistica della scienza
riscoprendone la valenza di responsabilità che le appartiene e che è il
fondamento della sua eticità. Questa dinamica, per la sua illimitatezza, non può
non ricercare l'intelligibilità suprema del mondo, incontrando così le
questioni fondamentali della filosofia e della religione. In questo modo la
scienza si spinge al di là di un semplice umanesimo o di una sapienza di vita:
comprende «l'apertura al significato universale» (p. 542). Qui l'obiettivo non
è più l'umanizzazione della scienza; è piuttosto una scienza che si fa
compagna di viaggio dell'uomo e della sua vita.
3.
P. Bühler - C. Karakash (edd.), Sciences
et Foi font système, Labor et Fides, Genève 1992, pp. 216.
Il
testo rappresenta il risultato di un lavoro collettivo dell'Istituo di ricerche
ermeneutiche e sistematiche dell'Università di Neuchátel e rappresenta un
modello di lavoro collettivo e interdisciplinare. Il testo consta
fondamentalmente di due parti: mentre la prima riguarda l'impianto teoretico del
problema, la seconda ne offre una concreta applicazione su alcuni temi come la
verità e l'intelligenza artificiale. Tralasciando la ricostruzione dei rapporti
mai facili tra fede e scienza, fermerò l'attenzione sull'oggi. A firma di C.
Karakash e O. Schäfer-Guignier, il testo offre una teologia dei rapporti tra
scienza e fede; questi distinguono quattro modelli: il,conflitto, la convergenza
o ricerca di sintesi, la complementarietà e la divergenza o rifiuto di ogni
articolazione sistematica. L'originalità del contributo sta nella ampiezza e
nella ricchezza della documentazione mentre, di per sé, i quattro modelli sono
abbastanza ovvii e risalgono ad un lavoro del 1966. A firma di P. Bühler, il
lavoro presenta l'ipotesi che guida il contributo: è un'ipotesi che si inscrive
nel terzo modello e mira ad una complementarietà interdisciplinare dove i
confini tra i diversi saperi non sono sempre ben precisabili. L'intento
vorrebbe essere quello di favorire «une approche systémique des relations
entre la raison et la foi consistant en une complémentarité en tension, faite
d'interactions dynamiques» (p. 68). Non si tratta di favorire un
giudizio degli uni sugli altri ma, attraverso questo dialogo, di condurre ogni
interlocutore a riflettere meglio sulla propria identità e sulle proprie
fragilità. In quest'opera, pregevole per tanti aspetti, i punti deboli sono
rappresentati dalla presentazione del magistero sulla creazione ed, anche, dalla
ricostruzione del sottofondo filosofico.
4
.
L. Galleni, Scienza e teologia.
Proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1992, pp. 196.
Professore
di zoologia all'Università di Pisa e direttore di Futuro dell'uomo, rivista espressione della Associazione Italiana Teilhard
de Chardin, Galleni ci offre in questo agile libretto un percorso che è,
insieme, la sua biografia intellettuale ed il risultato di una frequentazione
non casuale con ambienti teologici. Il lavoro ha due parti; nella prima
ricostruisce i rapporti tra fede e scienza mentre nella seconda li applica al
campo della evoluzione della vita, da Darwin a Monod e Teilhard. Anche in questo
caso il nostro interesse verte sulla prima parte, nella quale l'autore presenta
i dati fondamentali della attuale epistemologia scientifica, alcuni sondaggi sui
problemi posti dalla loro attuazione e la sua visione di una interazione tra
scienza e fede. Galleni tratteggia, al riguardo, due coppie di modelli ognuna
delle quali è costituita da un modello di interazione e da uno di esclusione;
il discriminante tra le due coppie riguarda la possibilità di una vicendevole
influenza tra il sapere scientifico e quello teologico o, addirittura,
l'esistenza di un terreno comune su cui interagire anche se, ovviamente, il
credente e lo scienziato lo leggono in base ai loro presupposti. La sua
conclusione è che «una visione di sintesi, una visione sapienziale del mondo,
non può fare a meno dell'interazione attiva di Scienza e Teologia» (p. 107).
Nel testo non si può non apprezzare la sicurezza dello scienziato nella
scelta dei
temi
e degli autori e la competenza nel presentarli; non vi è pari sicurezza nel
recuperare l'apporto teologico, troppo ristretto al solo Teilhard.
5.
G. Siegwalt, Dogmatique pour la
Catholicité évangélique. Système mystagogique de la foi chrétienne.
III: L'affirmation de la foi.
I: Cosmologie théologique: Sciences et philosophie de la nature, Labor
et Fides - Cerf, Genève - Paris 1996, pp. 298.
Il
punto di partenza di questo lavoro ha una sua singolarità; riflettendo sul
fatto che gli scienziati accettano, se mai, un confronto con la filosofia ma non
con la teologia, il docente di Strasburgo giunge alla conclusione che, in questo
modo, le difficoltà per la teologia rischiano di raddoppiarsi: a quelle che si
frappongono tra teologia e scienza rischiano di sovrapporsi anche quelle tra
teologia e filosofia. Per questo organizza il suo lavoro per una cosmologia
teologica in tre parti, le prime due delle quali sono raccolte in questo volume:
il rapporto della teologia con la cosmologia scientifica, poi quello con la
filosofia della natura e, infine, l'elaborazione sistematica propria della fede.
Qui ci interessiamo solo della prima parte. Impostando la questione, Siegwalt
riconosce la cecità della più affermata teologia occidentale circa la natura e
ne indica il motivo nell'influsso agostiniano: la affermazione di una corruzione
dominante distacca il mondo dalla creazione e lo pone sotto il segno del
peccato. Nemmeno il doppio ordine tomista, di natura e grazia, giustificherà un
totale impegno per il mondo; il dualismo cartesiano e la decisione barthiana di
appoggiarsi alla sola rivelazione contro ogni rivelazione naturale completeranno
questa separazione. Ne risulterà un disinteresse o una rivendicazione di
autonomia, magari benevola verso l'altro, ignorato sapere. Dall'altra parte il
progresso attuale delle scienze tende sempre più a superare la verifica
sperimentale, spesso in ritardo anche di decenni sulla ipotesi, ed a
configurarsi per un rimando alla realtà in quanto tale. Questo relativo
superamento dell'esperimento porta alla centralità di modelli il cui
significato è soprattutto funzionale e pratico; l'insoddisfazione per i limiti
di questa razionalità formale spiegano il ricorso ad una visione globale, anche
religiosa del cosmo. Siegwalt sottolinea con forza il dramma di queste scissioni
e ne indica il segno più evidente nella ignoranza che i diversi esperti hanno
delle altre branche del sapere. Attenendosi alla tradizione protestante,
Siegwalt parla di una unità dialettica tra creazione e redenzione da assumere
per un discorso cristiano sul mondo che eviti riduzione della teologia a
soteriologia e ad antropologia. In termini positivi questa unità dialettica ha
tre fasi: la scienza, la filosofia e la teologia. La scienza è semplice
attenzione alla realtà così com'è; se si spinge a presentarla come
"religiosa" e "teonoma" è solo per evitare una sua
connotazione come atea e per mantenerla in rapporto con quella totalità,
religiosa appunto, che va al di là del suo oggetto proprio (p. 164). Il
discorso filosofico procede dalla percezione pensante delle cose e, dalle
esperienze elementari, si innalza alle mediazioni culturali ed all'interrogativo
sulla trascendenza; quello teologico parte dalla rivelazione per chiarire la
realtà come relazione stabilendo così una pericoresi dei saperi dove nessuno
può essere senza l'altro (p. 150).
2.
Per una cosmologia cristiana attenta all'oggi
Manca
tuttora un consenso sulle questioni fondamentali e sul loro sviluppo in ordine
ad una cosmologia cristiana; per questo non resta che prendere i singoli autori
nella loro diversità. Di seguito ricordo sia alcuni autori che mi pare abbiano
particolarmente contribuito a rinnovare il nostro tema sia quei manuali che in
qualche modo hanno cercato di recepirlo.
1
P. Gisel, La création. Essai sur
la liberté et la necessità, l'histoire et la loi, l'homme, le mal et Dieu, Labor
et Fides, Genève 1980 (tr. it. a cura di A. Balletto, La creazione. Saggio
sulla libertà e la necessità, la storia e la legge, l'uomo,
il male e Dio, Marietti, Genova 1987, pp.
236).
Il
lavoro del docente di Losanna parte da due constatazioni abbastanza diffuse:
quella di una "perdita del mondo" da parte dell'umanità contemporanea
e quella del bisogno di ridire la fede in termini nuovi. Questi due fattori
convergono nel chiedere un ripensamento della verità della creazione: in
effetti, questa per un verso si è spostata verso le origini del reale e per un
altro si è svuotata in una sua cosificazione. Evitati dai pensatori più
originali della tradizione cristiana, tra cui il pastore protestante Gisel
inserisce Tommaso, questi limiti sono emersi nell'epoca moderna che ha confuso
l'origine con l'inizio temporale del mondo ed ha indicato nella res
extensa il modello della realtà. La difficoltà a parlare del mondo ha
spostato l'accento sulla storia e sul suo futuro, sulla libertà umana e sulla
sua esigenza di salvezza, conseguenza del suo peccato. Ridire la creazione da
dentro questo nucleo di problemi è possibile soltanto recuperando il valore
della ontologia; solo questo salva da un sentimentalismo che si separa dalla
durezza del mondo nel sogno di qualcosa di diverso e da una tecnica che vela
dietro la forza l'irrisolta alterità del reale. Gisel affida la sua riscoperta
del mondo alla ontologia che, saltando al di là della "essenza" greca
e del "soggetto moderno", costruisce attorno al Dio che fa esistere:
in questo modo, ciò che prende ad esistere rimanda a qualcosa che lo precede e
che è indipendente. Gisel riprende
così il tema tradizionale della contingenza ma lo legge come gratuità e libertà
divina, come origine di una fondativa relazione, come inizio di storia. In questo rapporto tra Dio e l'uomo il mondo è il terzo: è
cioè l'ambito in cui il divino e l'umano si incontrano, in cui la gratuità
divina si salda con una libertà umana non abbandonata a sé stessa.
Il mondo appare così contingente e delimitato, totalità integrata nel
volere di Dio; proprio per questo è il luogo del simbolico, è lo spazio della
libertà umana, è l'ambito dove il bisogno e il desiderio si cristallizzano in
una scelta che dà volto alla vita. La
dignità dell'uomo e della creatura si realizzano così sempre e solo nel
particolare, nel contingente, cioè nel mondo e attraverso esso.
Queste osservazioni sono importanti ma lasciano senza risposta le
questioni scientifiche del cosmo; il mondo che interessa è più quello di un
heideggeriano Dasein che quello degli scienziati. Volendo, se ne può ugualmente ricavare uno spunto: il senso
del limite come espressione di una ontologia e di un'etica.
Rifiutare ogni limite per una malintesa vertigine di potere porterà a
sperimentarlo là dove meno lo si sospetterebbe: «il
limite
che sembrava assente dal laboratorio e dal suo luogo astratto di sperimentazione
riapparirà nella forma della tollerabilità sociale» (p. 5).
2.
B. Lauret - F. Refoulé (edd.), Initiation
à la pratique de la théologie. III:
Dogmatique 2, Cerf, Paris 1983 (ed. it. a cura di M. Falchetti, tr. di P.
Crespi, Cosmologia cristiana. di S. Charalambidis, in Iniziazione alla pratica della teologia.
III: Dogmatica II, Queriniana,
Brescia 1986, 11-51; Creazione ed escatologia. di P. Gisel, ivi, 633-752).
Questo
testo ha la sua originalità nello schema. Innanzitutto mantiene la tematica
della creazione sotto il segno della pneumatologia post-pasquale ed inoltre la
spezza in due parti, attribuite rispettivamente ad un teologo legato
all'arcivescovado greco-ortodosso di Francia e, di nuovo, a Gisel. Nonostante il
titolo di "cosmologia cristiana", il primo contributo subordina la
cosmologia alla antropologia nel senso che l'uomo, rinato in Cristo, porta in sé
l'immagine di un mondo nuovo. La
trattazione, di conseguenza, è esclusivamente teologica e parla dello stato
originale e di Cristo nuovo Adamo, dei sacramenti e della liturgia come ambito
di trasfigurazione della vita, della resurrezione e della nuova, definitiva
creazione. Il contributo di Gisel
segue, nello schema e nel contenuto, il testo analizzato in precedenza. Il
dialogo con le scienze, in poche parole, è del tutto assente.
3.
J. Moltrnann, Gott in Schöpfung. Ökologische
Schöpfungslehre, Kaiser, Múnchen 1985 (ed. it. a cura di G. Francesconi,
tr. di D. Pezzetta, Dio nella creazione.
Dottrina ecologica della creazione, Querinìana, Brescia 1986, pp.
380).
Il
lavoro di Moltmann, docente a Tübingen, prende le mosse dalla crisi ecologica,
intesa però non tanto come problema ambientale quanto come interrogativo sulla
persona stessa. Moltmann gli attribuisce un valore di reimpostazione delle
stesse questioni di fondo: negli anni passati «il problema della creazione era
il problema della conoscenza di Dio. Oggi il problema della dottrina di Dio è
quello della conoscenza della creazione» (p. 7). Da qui il bisogno di trovare una concezione che abbandoni la
volontà di potenza, per un predominio sul mondo, e ritrovi le vie per un
rapporto diverso con il cosmo. Moltmann condivide le critiche alla teologia
newtoniana e imputa alla presentazione di Dio come "Soggetto assoluto"
l'inevitabile riduzione del mondo ad oggetto. Per uscire da una logica
cosificata e prepotente, Moltmann invoca una forma di pensiero partecipativa e
integrativa, che guardi alla totalità delle relazioni; per sviluppare questa
visione globale, si distacca dalla coppia natura-grazia, che a suo parere non
salvaguarderebbe a sufficienza l'escatologia e sfocerebbe in un trionfalismo
terreno, e si propone di «esporre una concezione trinitaria della creazione
sviluppando il terzo aspetto, quello della creazione nello Spirito» (p. 21).
Questa prospettiva lo porterà a ripensare Dio ed i suoi rapporti con il mondo.
In questo nuovo modo di pensare «al centro non sta più la distinzione tra Dio
e mondo, bensì la conoscenza del fatto che Dio è presente nel mondo e il mondo
in Dio ( ... )Dio non è soltanto il Creatore del mondo ma anche lo Spirito
dell'universo» (p. 26). E' la tesi della Weltimmanenz
Gottes:53 abbandonando ogni contrapposizione tra Dio e il mondo,
ogni visione di Dio come Das ganz Andere, presenta
il mondo come la dimora, come la shekinah di Dio.
Provando
a chiarire la nozione di vita, centro del suo pensiero, Moltmann si rifà sia
alla Trinità che allo Spirito. Il primo è presto indicato: «partiamo dal
presupposto che tutti i rapporti, che abbiano una analogia con quelli che si
verificano in Dio, rispecchino l'inabitazione originaria reciproca e la
reciproca compenetrazione della pericoresi
trinitaria: Dio nel mondo e il
mondo in Dio» (p. 30). Quanto allo
Spirito, osserverà che «per Spirito, in
riferimento alla natura, noi intendiamo le forme di organizzazione ed i modi di
comunicazione dei sistemi aperti, a
partire dalla materia informe per arrivare alle forme dei sistemi vitali, alle
più diverse sirnbiosi di vita, fino agli esseri e alle popolazioni umane,
addirittura all'ecosistema terra, al
sistema solare, alla nostra galassia della Via Lattea ed alla combinazione delle
galassie dell'universo» (p. 30). Da qui una totale condivisione del dato
scientifico ed una presentazione di una nuova teologia della creazione: questa
non dipende da un decreto divino ma appartiene alla normale espressine della sua
vita che è vita d'amore (p. 103); la creazione dal nulla si spiega meglio alla
luce dello zimzum, come
autoumiliazione divina (pp. 110-112); la dottrina dello Spirito cosmico comporta
una kenosis dello Spirito, una sua
condivisione della storia di sofferenza del creato per originare coerentemente
una speranza del mondo (p. 127). Quanto all'evoluzione, partendo dalla
concezione del mondo come sistema aperto e dalla irreversibilità della
direttrice temporale giunge alla comprensione della creatio continua come atto attraverso cui Dio conserva questo mondo
e lo prepara al suo compimento (pp. 246-247); il compimento, poi, non andrà
inteso come conclusione o instaurazione di un sistema chiuso ma come vitalità
eterna (p. 250).
Il
limite di questo discorso, a mio parere, è quello di una eccessiva
assimilazione tra tesi scientifiche e tesi teologiche; bisogna, però, notare
che questo dipende strettamente dalla maniera con cui Moltmann presenta la
Trinità. Pensandola economicamente
in base alla storia ed alla missione di Gesù, Moltmann ha equiparato Trinità
economica e Trinità immanente pensando quest'ultima in base ad una storia
trinitaria dove il mondo è radicalmente coinvolto: da una parte il divenire
storico è relativo a un divenire trinitario escatologicamente compiuto
dall'altra questo compimento è principio di energia e di trasformazione
storica. Questa visione non
salvaguarda adeguatamente la filialità divina di
Gesù ma la identifica con la sua missione, con la sovranità cosmica ricevuta
nella sua obbedienza crocifissa; ne consegue che la distinzione tra il Figlio e
quel mondo a cui consegna il suo Spirito non è adeguata: pensare
dialetticamente la diversità nella unità e viceversa sulla base della
pericoresi trinitaria non è sufficiente per giustificare l'unità trinitaria
perché la pericoresi già la presuppone. In
realtà la spiegazione della Trinità immanente deve saper spiegare sia la
comunione trinitaria di vita sia il suo realizzarsi - uno e diverso - nella
storia salvifica; riassumere il compimento escatologico nella vita trinitaria
non significa altro che il Dio di Gesù è il vero Dio fin dall'eternità e che
non lo sarebbe senza il compimento del suo regno.
4.
J.L.Ruiz de la Pena, Teologia de la
creacíon, Sal Terrae, Santander, 1986 (tr. it. a cura di T. Tosatti, Teologia della creazione, Borla,
Roma 1988, pp.278).
Il
docente di Salamanca dedica gli ultimi tre capitoli (pp. 196-271) del suo
trattato sulla creazione ai nostri temi, ponendoli sotto un titolo «Questioni
di frontiera» comprensivo di altre questioni ma già indicativo di una non
piena integrazione dei problemi scientifici nella trattazione in quanto tale.
Dopo una introduzione generale sul superamento del positivismo e sulla esigenza
di nuovi rapporti tra fede e scienza, l'autore entra decisamente nel nostro
tema. Dopo aver descritto alcuni modelli cosmologici, indica i nodi problematici
del dialogo tra fede e scienza nella dialettica tra determinismo e
indeterminismo, tra caso e finalità, tra cosmocentrismo e antropocentrismo.
Da parte sua l'illustre docente critica il determinismo in base alla
indeterminazione della fisica quantistica, alla epistemologia scientifica
popperiana ed alla rivendicazione della libertà; rivendica il finalismo della
evoluzione sia sulla base di pareri scientifici sia su quella di presupposti
teologici: a suo modo di vedere, infatti, il dibattito sulla teleologia nasconde
un dibattito sul teismo, sulla esistenza o meno di Dio; infine, per motivi
cristologici, opta per un antropocentrismo moderato da una "dotta
ignoranza" circa altri mondi e l'esistenza di altre vite intelligenti.
Il suo intento fondamentale sembra duplice: da una parte intende evitare
ogni forma di materialismo e dall'altro vuol presentare un concetto di creazione
che, sulla scorta di una complementarietà tra fede e scienza, sia capace di
integrare le tre diverse forme di mondo presentate da Popper. Inclina, perciò, ad una teoria «che riconosca alla realtà
la possibilità di superarsi verso il novum
per salti qualitativi (il che spiega la diversità ontologica della realtà)
e che induca in questo processo di plusdivenire il fattore creazione, cioè la presenza nel processo di una causalità
trascendente che agisce producendo ex
nihilo la prima forma di realtà contingente e coproducendo insieme alle
cause intramondane il successivo emergere di novità» (p. 268).
Nonostante l'evidente sforzo di dialogo con il mondo scientifico, mi
sembra che Ruiz de la Pena non raggiunga il risultato prefisso: si tratta più
di una integrazione del trattato tradizionale che di un suo fecondo
ripensamento.
5.
S.L. Jaki, God and the cosmologists,
Scottish Academic Press, Edinburgh 1989, pp. 286 (tr. it. Dio e i cosmologi,
Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1991).
Il
testo raccoglie le otto lezioni che l'autore, teologo benedettino e studioso di
storia della scienza, ha tenuto nel 1988 presso l'Istituto Farmington di Oxford.
Il lavoro, bene informato, ripercorre le grandi trasformazioni proprie della
cosmologia moderna, sforzandosi di coglierne il significato senza cadere in
facili concordismi o in sterili conflitti.
Due polemiche rientrano in questa mentalità volta a perseguire, nel
senso nobile, una apologia della fede. La
prima riguarda l'argomento cosmologico che l'autore rivaluta contro le critiche
di Kant; lo fa partendo dalla visione di un universo, inteso come totalità
contingente e accostato sotto il profilo di quello stupore che è l'inizio di un
pensiero metafisico. Anche se non
mostra di approfondire granché l'impianto epistemologico di Kant, l'attenzione
che dedica alla dimensione estetica del creato è degna di nota.
La seconda riguarda, invece, il carattere religioso del cosmo e la sua
liturgia di lode a Dio. Confrontando
varie posizioni, dal panteismo ai diversi monoteismi, e seguendo Paolo (Rm
1,19-29; 12,1), Jaki mostra il legame tra Dio e il cosmo e la ragionevolezza di
questo aspetto del culto cristiano.
6.
W. Pannenberg, Systematische
Theologie. Il,
Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1991 (tr. it. a cura di D. Pezzetta, Teologia sistematica. II,
Queriniana, Brescia 1994, pp. 11-201).
Pannenberg,
docente a München, ci offre nella prima parte di questo volume una visione
organica della sua teologia della creazione. E' una visione ampia, decisamente
collocata in un quadro trinitario: «l'agire creatore di Dio si estende come un
atto eterno che abbraccia l'intero processo del mondo e compenetra tutte le fasi
dell'economia dell'agire divino nella sua storia» (p. 54). In questo atto
eterno si deve collocare una varietà di azioni divine: la creazione e il
mantenimento delle cose nell'essere, il concorso divino e il governo del mondo
fino alla fine non vanno intesi come apporti esterni ma sono sempre espressione
dell'agire di quel Creatore il cui amore avvolge il mondo.
Ne viene una visione aperta al futuro, che trova il suo vertice in un
mondo trasformato in quel regno che è il suo fine.
Di
questa ampia visione, a noi interessa la parte che Pannenberg dedica al mondo in
quanto tale e che intitola "Il mondo delle creature" (pp. 74-161). Per
comprenderlo meglio bisognerà aver presente non solo il testo Kontingenz
und Naturgesetz (1970), nel quale Pannenberg opta decisamente per una
teologia della natura, ma anche Der Geist
des Lebens (1972), uno scritto in
cui salda la concezione evoluzionista di Teilhard con la visione di una aperta
alla trascendenza di Tillich per concludere che il mondo è un sistema aperto
che lo Spirito guida sul percorso della vita.
Analizzando questo mondo concreto, Pannenberg spiega l'unità e la
pluralità del mondo in termini cristologici e trinitari. Sul modello della vita
trinitaria dove la autodistinzione del Padre dal Figlio avviene nel perenne
riferimento del Figlio al Padre, ecco che la creazione nel Figlio motiva il «differenziarsi
delle diverse creature dall'unico Logos dal quale esse scaturiscono. Il Logos,
però, non è solo trascendente alle creature ma è presente ed operante in esse»
(p. 78). In questo modo, mentre
spiega la contingenza del reale, la creazione nel Figlio riconduce tutto il
mondo al Padre. Per chiarire come
sia possibile pensare la presenza di Dio nella realtà creata senza rimanerne
prigioniero, Pannenberg fa ricorso allo Spirito, che è
dúnamis cioè energia; lo immagina come un "campo di forza": «la
persona dello Spirito Santo non va concepita come essa stessa campo, ma
piuttosto come manifestazione singolare (singolarità) del campo della divina
essenza» (p. 102). Aperto a Dio ed
alle sue forze creatrici, il mondo è presentato come un sistema evolutivo che
partecipa della attività creatrice divina, pur mantenendo una sua autonomia. Se ci lasciamo poi ispirare dai testi sacerdotali nel
ricercare il senso, questa autonomia ha il suo senso nella sintonia dell'agire
umano con il volere divino; «la volontà creatrice di Dio è che la creatura
esista. In altre parole, questa
volontà è diretta alla esistenza autonoma della creatura» (p. 158). In ordine alla sua fine, questa evoluzione dovrà tener conto
non solo dei dati scientifici ma anche della aspettativa biblica della fine del
mondo e del suo significato cristologico; questa partecipazione del mondo alla
realtà divina, compiuta nel venturo punto Omega, dovrà tener conto che la
realtà divina non si forma in Omega ma è presente, nel suo futuro
escatologico, ad ogni fase del processo evolutivo.
La comprensione e la determinazione dell'intero del processo «viene
soddisfatta sul terreno della fede cristiana nella resurrezione ed esaltazione
di Gesù Cristo, l'Uomo nuovo. Ma
allora non si ha più bisogno di supporre future forme evolutive di
un'intelligenza che si manifesta nel processo del mondo unicamente all'uomo»
(p. 187.
7.
A. Ganoczy, Suche nach Gott auf den
Wegen der Natur. Theologie, Mystik,
Naturwissenschaften - ein kritischer
Versuch, Patrnos, Düsseldorf 1992 (tr. it. a cura di M. Goldin, Teologia
della natura, Queriniana, Brescia 1997,pp.472).
Il
lavoro di Ganoczy, docente cattolico di Würzburg, distingue tra teologia
naturale e teologia della natura ed intende quest'ultima come «l'insieme di
tutti i fenomeni organici ed inorganici. che sono oggetto dell'esperienza
sensibile, dell'indagine razionale, della formulazione matematica e della
manipolazione tecnica» (p. 9). Introdurre
questo tema in teologia significa abituarsi a pensare il mondo
contemporaneamente sia come "creazione" sia come "natura".
Una teologia della natura è, per il nostro, partecipazione ad una
ricerca in atto ed esige per questo un metodo che rispetti lo specifico delle
diverse discipline ed eviti ogni confusione.
Ganoczy lo chiama dialogico per indicare la sua volontà di ascoltare e
partecipare - da teologo cattolico, sia ben chiaro - a questa ricerca.
Queste scelte si riflettono sulla criteriologia del suo lavoro: ogni
questione è esaminata prima dal punto di vista scientifico, poi alla luce
dell'apporto delle varie tradizioni religiose, dall'induismo al buddismo alla
mistica cristiana, per giungere da ultimo a delle indicazioni teologiche.
Rispetto alla abituale letteratura non si può che apprezzare
l'introduzione della mistica cristiana, della quale Ganoczy valorizzerà
soprattutto Eckhart ed Ildegarda di Bingen.
I temi attorno a cui raccoglie il suo pensiero sono tre: Dio, la natura e
l'uomo. In genere si può dire che
le sue conclusioni rimangono nel solco della tradizione e che il suo apporto più
alto é un contributo contro le semplificazioni di comodo e la confusione dei
concetti. Quanto a Dio, Ganoczy
ricorda svariate questioni ma due mi sembrano fondamentali.
La prima è la sottolineatura di una dimensione spirituale che dal mondo
risale a Dio; formalizzando il concetto, il nostro ricorda le diverse maniere di
pensare Dio come spirito, maniere che vanno dalla concezione di un
"soggetto assoluto" alla ripresa di una sorta di anima mundi, ad una libera presenza nella natura resa strumento
dell'agire divino. Per evitare che
lo spirito diventi il principio di un monismo confusionario e riduttivo, Ganoczy
rifiuta di pensare la spiritualità divina come un principio di organizzazione
del mondo o come la negazione di ogni trascendenza. Diversa dal mondo, la natura spirituale di Dio, se pensata
trinitariamente, va pensata come aperta al mondo. La seconda problematica riguarda l'equiparazione tra
creazione e causalità. Pur
rifiutando ogni universo autocreatore, Ganoczy non ha difficoltà a riconoscere
che il verbo bara indica un agire
esclusivamente teologale, che la nozione di causa
prima è stata troppo facilmente intesa come prima di una serie di cause
seconde invece che come causa sui, che
la creatio continua è stata troppo dimenticata; rivendica, però, il dato positivo che «dal
seno stesso della sua eternità, Dio fa scaturire la condizione di possibilità
di essere, tempo, spazio, energia, materia, antimateria e deflagrazione
originaria» (p. 255).Per descrivere però la relazione tra Dio e il mondo,
relazione di diversità nella somiglianza, Ganoczy riprende la nozione di
analogia.
Quanto
alla natura, Ganoczy richiama il vero senso, non dualista, della nozione biblica
di "cielo e terra"; ne ricava però la conclusione che la terra non può
essere un sistema chiuso a quel cielo che è il simbolo teologico di Dio.
In aggiunta ricorda la radicale differenza che vi è tra la nozione
teologica di eternità e la concezione spazio-temporale della scienza; allo
stesso modo ricorda che il caso o caos di cui parla la scienza non ha nulla a
che vedere con il tohu wabohu di Gen 1,2: si tratta piuttosto «di un gioco
di forze interattive , le cui regole sono (ancora) ignote; d'altra parte,
però, questo stesso gioco genera sempre ordine»
(p. 362). Quanto all'uomo,
infine, Ganoczy tocca le questioni della unità di corpo e anima, di cervello e
spirito, e quello del male sempre ascoltando con attenzione il dato scientifico
ma ribadendo le impostazioni ed il senso ultimo delle posizioni teologiche.
L'indubbio arricchimento del discorso teologico si connette così con
l'offerta di chiarificazioni che aspettano una adeguata risposta.
8.
T. Schneider (ed.), Hanbuch der
Dogmatik. I, Patmos, Düsseldorf
1992 (ed. it. a cura di G. Canobbio - A. Maffeis, tr. di C. Danna, Dottrina
della creazione. di D. Sattler - T. Schneider, in Nuovo
Corso di Dogmatica. I, Queriniana,
Brescia 1995, 144-279).
Gli
autori, entrambi docenti all'università di Magonza, riconoscono facilmente che
il trattato sulla creazione ha oggi bisogno di rinnovamento (pp. 146-148) ma
riconducono la sostanza del problema sia al rinnovamento biblico che ne ha
imposto una lettura cristologica e salvifica sia alla questione ecologica ed al
dibattito aperto al riguardo da C. Amery, già nel 1972, con il suo lavoro Das
Ende der Vorsehung. Die gnadenlosen
Folgen des Christentums che metteva sotto accusa il compito biblico di
assoggettare la terra. Tuttavia il
testo riserva un buon spazio ai nostri temi, proprio nella sua parte
sistematica. Innanzitutto gli autori legano la nozione di creazione ex
nihilo a quella del big bang e
della espansione dell'universo (pp. 249-25 1; del pari si sforzano di legare la
nozione teologica di creatio continua a
quella di evoluzione e di autorganizzazione dell'universo (pp. 251-254) non
senza interrogarsi sul problema del male; hanno presente il problema della
evoluzione biologica e lo risolvono sulla base del fatto che Dio «fa sì che
l'azione specifica delle creature superi e travalichi le possibilità preumane.
Egli è il fondamento trascendente, la condizione di possibilità di una
evoluzione nel corso della quale è comparsa la vita umana» (p. 260); non
mancano, infine, nemmeno di affrontare la problematica del tempo - lo fanno alla
luce della teoria della relatività - e della sua fine (pp. 273-276).
Il loro discorso, insufficiente sotto il profilo di una lettura
cristologica e trinitaria della creazione, è invece puntuale e attento al
dialogo con le scienze. Forse
qualche parola di inquadratura generale avrebbe dato a questo dialogo una
profondità ed una consapevolezza maggiore.
9.
J.M. Maldamé, Le Christ et le cosmos, Gedit S.A.- Mame, Tournai - Paris 1993 (tr.
it. a cura di G. Maccaione, Cristo e il
cosmo. Influenza della cosmologia
moderna sulla teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, pp. 272).
Il
lavoro di J.M. Maldamé, docente a Tolosa, è una limpida ricostruzione dei
rapporti tra scienze della natura e fede cristiana. Una breve introduzione ricostruisce i rapporti tra scienza e
teologia, con particolare attenzione al nostro secolo; richiama la teologia del
cosmo di E. Mersch e K. Rahner ma ricorda che il loro pensiero è rimasto
largamente umanistico, tanto che le posizioni di Teilhard rimarranno isolate.
Il dialogo che Maldamé imposta non parte dalla rivelazione ma dai dati
scientifici. Con grande competenza presenta i dati della cosmologia
moderna, ne recupera l'impostazione concettuale e si sofferma sul posto
particolare che spetta all'uomo; il risultato è una chiara presentazione del
rinnovamento di concetti e di schemi mentali oggi in atto.
La seconda parte è più teologica e mira ad illuminare la dimensione
cosmica dell'amore salvifico; per questo presenta Gesù come il nuovo Adamo,
riprende la tesi di Teilhard sul Cristo cosmico e presenta quel nuovo universo
nel quale Dio sarà tutto in tutti. In
questo lavoro il teologo domenicano mette in atto una complementarietà di fede
e scienza e mostra come, se la fede nel compimento pasquale illumina meglio il
cammino umano e lo legge come una aspirazione al futuro, l'approfondimento della
cosmologia permette di comprendere meglio il posto che Dio ha attribuito
all'uomo in questo mondo.
1
0. ATI, La creazione e l'uomo.
Approcci filosofici per la teologia. a cura di A. Staglianò,
Messaggero, Padova 1992; ATI, Dio, mondo e natura nelle religioni orientali. a cura di G. Canobbio,
Messaggero, Padova 1993; ATI, La creazione. Oltre l'antropocentrismo?. a cura di P. Giannoni,
Messaggero, Padova 1993, pp. 414; ATI, Cosmologia
e antropologia. Per una scienza dell'uomo. a cura di G. Ancona,
Messaggero, Padova 1995, pp. 228; ATI, Creazione
e male del cosmo. Scandalo per l'uomo e sfida per il credente. a cura di G.
Colzani, Messaggero, Padova 1995, pp. 196; ATI, Futuro del cosmo futuro dell'uomo. a cura di S. Muratore,
Messaggero, Padova 1997, pp. 474.
Il
lungo elenco di testo rappresenta l'elenco degli Atti dei congressi di zona e
nazionali che, per più anni, la Associazione Teologica Italiana ha tenuto sul
tema dei rapporti tra fede e scienze della natura, seguendo un preciso impianto
teorico. La singolarità e l'unicità
della iniziativa stanno nel fatto che l'opera è una sorta di lavoro collegiale
protratto nel tempo e che, non di rado, ha coinvolto docenti normalmente
estranei al mondo teologico. Stante
la loro mole, i lavori non sono riassumibili in una presentazione bibliografica
come questa. Mi accontenterò,
perciò di presentarne la lettura logica. Il
perno dei lavori sono i due congressi nazionali, quello di Pisa del 1992 su
cosmocentrismo o antropocentrismo, e quello di Udine del 1995 su futuro
dell'uomo e del cosmo. Il primo è
preparato da alcune indagini sfociate in due congressi zonali, il primo su
filosofia e cosmologia tenuto a Catanzaro nel 1991 e il secondo sulle religioni
orientali tenuto a Brescia sempre nel 1991.
La preparazione del convegno di Udine è, invece, all'origine
dell'incontro di Lecceto (Firenze) su creazione e male del cosmo, tenuto nel
1994, e di quello di Molfetta (Bari) su antropologia e problematico scientifica
della evoluzione, tenuto sempre nel 1994.
11.
I. Sanna, Fede, scienza e fine del mondo. Come
sperare oggi, Queriniana, Brescia 1996, pp. 206.
Il
lavoro di Sanna, docente alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università
Lateranense, a Roma, è una messa a punto della questione del futuro, una
questione fondamentale per la coscienza antropologica d'oggi.
Una panoramica iniziale, corredata da bibliografia, ricostruisce
l'apporto che questo tema ha avuto nella teologia, nella scienza e nella
epistemologia scientifica; una seconda parte approfondisce la diversità del
sapere scientifico e di quello teologico circa il futuro che, in campo
teologico, è soprattutto escatologico; infine, la terza parte conclude il
lavoro presentando i soggetti capaci di futuro, cioè il cosmo, l'uomo e Dio.
Il lavoro è buono e documentato ma non si può fare a meno di chiedersi
perché , la panoramica sul futuro trascuri la filosofia, che anche in questo
secolo vi ha ampiamente riflesso, o perché la presentazione di Dio come potenza
di futuro sia raccolta attorno alla onnipotenza immolata, con una lunga
digressione sul significato non direttamente onnipotente del termine pantokrator.
Inoltre la presentazione del futuro escatologico avrebbe bisogno di
ulteriore scavo per superare il momento descrittivo.
Diversamente dalle scienze che modellano il futuro sulla base della
previsione e della anticipazione, il futuro teologico è autonomo e autofondato:
è il futuro di un Dio che, con il suo regno, mi si fa incontro.
12
G. Colzani, L'universo è di Dio. Il mondo creato e la libertà umana, in
Antropologia Teologica. L'uomo paradosso
e mistero, Dehoniane, Bologna 1997, 407-449.
Il
lavoro di Colzani, docente di teologia alla Pontificia Università dell'Italia
centrale di Firenze, si inserisce nella parte sistematica della sua antropologia
teologica. Il disagio ed il bisogno
di rinnovamento della trattazione portano l'autore ad interrogarsi,
innanzitutto, sui criteri metodologici della trattazione; l'autore li ricerca in
un dibattito con il. dato scientifico e con i primi tentativi di una teologia
della natura. Dopo un richiamo dei
dati tradizionali, presenta le tesi di una rinnovata teologia della creazione,
il dibattito tra scienze e affermazioni di fede e conclude con una ripresa della
questione del male. Attento alla
problematica antropologica, ricorda il processo evolutivo ma porta la sua
attenzione soprattutto sul principio antropico e sugli scenari finali della
storia del mondo. Pur in un quadro
dialogico, l'intento è quello di non svuotare il patrimonio teologico.
Gianni
Colzani
Via
E. Kant 8, 20151 Milano
Conversazione
tenuta presso la Fondazione “Serughetti La Porta” il 19/03/1999.
Testo
redatto dall’autore
1K. Barth, Kirchliche
Dogmatik. III\I: Die Lehre von
der Schöpfung, Theologisches Verlag, Zürich 1945, 103-377.
2F.
Gogarten, L'uomo tra Dio e il mondo.
Legge ed evangelo, Dehoniane, Bologna 1971, 301.
3Ivi,
303.
4G.
Ebeling, Dogmatica della fede
cristiana. I: Prolegomeni. La fede
in Dio creatore del mondo, Marietti, Genova
1990,
327.
5 A. Koyré, Dal mondo chiuso all'universo infinito, Feltrinelli, Milano 1970 .
Si veda anche M. Jammer, Storia del
concetto di spazio, Feltrinelli,
Milano 1963
6 «Se, fra tutte le modificazioni di stato che avvengono
nell'Universo, le trasformazioni che avvengono in una certa direzione
superano in grandezza quelle che si sviluppano nella direzione contraria,
allora la condizione generale dell'Universo si modificherà sempre più
lungo la prima direzione, e l'universo tenderà continuamente ad avvicinarsi
ad uno stadio fmale» (R. Clausius, citato in G. Scalmana, La
fine del tempo tra scienza e teologia, in Aa. Vv., La fine del tempo, Morcelliana,
Brescia 1998, 168-169).
7
«Lo spazio e il tempo non sono solo misure operative, essi esprimono la
ricchezza di ciò che é. Questa ricchezza é intesa come un'estensione e
una relazione dell'essere con sé stesso, secondo la disposizione delle
parti o secondo il suo divenire» (J.M. Maldamé, Cristo
e il cosmo. Influenza della cosmologia moderna sulla teologia, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 56).
Sulla relatività si veda V. Tonini, Einstein
e la relatività, La Scuola, Brescia 1981; D.W. Sciama, La relatività generale, Zanichelli, Bologna 1972.
8
Lo dimostra il fatto che questa ricerca é stata intenzionalmente
perseguita dagli stessi scopritori del sistema dei ''quanti"; tanto
Plank che Heisenberg hanno pensato ad un ordine ultimo o divino del cosmo.
Si veda M. Planck, Scienza, filosofia
e religione, Fratelli Fabbri, Milano 1965; W. Heisenberg, Fisica
e filosofia. La rivoluzione nella scienza
moderna, Il Saggiatore, Milano 1961; Id., Indeterminatezza e realtà, Guida, Napoli 1991; Id., La
Partie et le Tout. Le monde de la
physique atomique, A.
Michel, Paris 1972. Su questo aspetto si veda anche J. Polkinghome,
Il mondo dei quanti, Garzanti,
Milano 1986.
9
H.P. Dürr, Über die Notwendigkeit,
in offenen Systemen zu Denken. Der Teil und das Ganze, in G. Altner
(ed.), Die Welt
als offenes System. Eine Kontroverse um das Werke von Ilya Prigogine, Fischer,
Frankfurt 1986, 9-31.
10 Il problema, insolubile per il pensiero classico,
riguardava il perché l'osservatore terrestre sembrasse essere il centro di
questo movimento espansivo; applicando la teoria della relatività, si può
facilmente capire questa
apparente centralità della terra: in realtà l'universo è identico per
tutti i possibili osservatori, senza che nessuno di essi occupi una
posizione privilegiata.
11 S. Bergia, Dal
cosmo immutabile all'universo in evoluzione, Bollati Boringhieri, Torino
1995; M. Cini, Un paradiso perduto.
Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli,
Milano 1994.
12
G. Gamow, La creazione dell'universo, Mondadori,
Milano 1956.
13
S. Hawking, Dal big bang ai buchi
neri. Breve storia del tempo, Rizzoli, Milano 1992, 165. Nel medesimo
senso F.J. Dyson, Infinito in ogni
direzione. Le origini della vita, la scienza e il futuro dell'umanità, Rizzoli,
Milano 1989.
14
E.H. Harrison, Le maschere
dell'Universo. L'immagine del
cosmo dalle origini dell'umanità alle più recenti scoperte
scientifiche,
Rizzoli, Milano 1989, 327-341.
15
G. Altner (ed.), Die Welt als offenes System. Eine
Kontroverse um das Werke von Ilya Prigogine, Fischer, Frankfurt 1986. La
nozione di "sistema", qui utilizzata, indica una entità complessa
che si comporta come totalità unitaria e non
come
accumulò di elementi isolati.
16
E. Jantsch, Die Selbstorganisation des
Universums. Vor Unknall zum menschlichen Geist, Hansen, München 1987.
17
E' quanto cerca di provare S. N. Bosshard, Erschaft
die Welt sich selbst? Die
Selbstorganisation von Natur und Mensch
aus naturwissenschaftler, philosophischer und theologischer Sicht, Herder,
Freiburg-Basel-Wien 1985 quando stabilisce una analogia tra "autorganizzazione"
e "autotrascendenza", più o meno al seguito di K. Rahner.
18
E. Jantsch, Die Selbstorganisation...cit.,
47, 412. All'origine di questa visione sta, forse, A.N. Whitehead, Il
processo e la realtà. Saggio di
cosmologia, Bompiani, Milano 1965 che esclude la trascendenza di Dio
rispetto al mondo: per lui, il dinamismo dell'universo parte dalla unità
eterna di Dio ma trova la sua espressione nel divenire del mondo.
19
J. Monod, Il caso e la necessità.
Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori,
Milano 1970, 96. Nel medesimo senso F. Jacob, Evoluzione
e bricolage. Gli "espedienti" della selezione naturale, Einaudi,
Torino 1978; Id., Il gioco dei
possibili, Mondadori, Milano 1983; R. Dawkins, L'orologiaio
cieco. Creazione o evoluzione?, Rizzoli,
Milano 1988. Su tutto il dibattito si veda D.J. Bartolomew, Dio
e il caso, SEI, Torino 1987.
20
I. Prigogine - I. Stengers, La nuova
alleanza. Metamorfosi della
scienza, Einaudi, Torino 198 l.
21 V. Sommer, Das
schöpferische Spiel, in «Geo-Wissen» [Hamburg] (1990) 2, 64-70.
22
M. Eigen - R. Winkler, Il gioco.
Le leggi naturali governano il caso, Adelphi, Milano 1986; M. Eigen, Gradini
verso la vita. L'evoluzione prebiotica alla luce della biologia molecolare, Adelphi,
Milano 1992. Si veda anche P.
Davies, Il cosmo intelligente.
Le nuove scoperte sulla natura e l'ordine dell'universo, Mondadori,
Milano 1989.
23
P. Davies, Dio e la nuovafisica, Mondadori,
Milano 1984.
24
F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi,
Milano 1982; F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo
come dimora. Conversazioni tra
scienza e spiritualità con Thomas Mathus, Feltrinelli, Milano 1993.
25
F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo
come dimora…. 166.
26
F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo
come dimora….. 221.230.280.
27
F. Capra - D. Steindl-Rast, L'universo
come dimora…127-128. E' questo anche il pensiero di Charon: «la
cosmologia di domani sarà, ne siamo convinti, una cosmologia del Verbo,
perché vorrà proporre un'immagine del Mondo in cui lo Spirito potrà
armoniosamente allearsi con la materia, in una prospettiva evolutiva che ci
consentirà di discernere verso vale sponda si dirige la nave su cui ci
troviamo» (J. Charon,
L'Homme et l'univers, Marabout,
Paris 1974, 198).
28'
Su questo si veda J. Demaret - C. Barbier, Le
principe anthropique en cosmologie, «Revue des questions scientifiques»
152 (1981) 181-222. 461-509.
29
J.D. Barrow - F.J. Tipler, The
Anthropic Cosmological Principle, Clarendon Press, Oxford 1986. Sul
tema si veda anche R. Breuer, Das
anthropische Prinzip. Der
Mensch in Fadenkreuz der Naturgesetz, Meyster,
Miinchen 1983; F. Bertola - U. Curi (edd.), The
Anthropic Principle. Proceedings of the Second Venice Conference on
Cosmology and Philosophy, Cambridge
University Press, Cambridge 1994; A. Masani, Il
principio antropico, in G.V. Coyne - M. Salvatore - C. Casacci (edd.), L'uomo
e l'universo. Omaggio a
Pierre Teilhard de Chardin, Vatican Observatory, Città del Vaticano
1987, 1-27; S. Muratore, Il principio antropico tra scienza e filosofia, «Rassegna di
Teologia» 33 (1992) 21-48. 154-197. 261-300; E. Mariani (ed.), Il
posto dell'uomo nell'universo, I.P.E., Napoli 1995. Si veda pure F.
Strafella, Le obiezioni al principio
antropico, in G. Ancona (ed.), Cosmologia e antropologia. Per una scienza dell'uomo, Messaggero, Padova 1995, 30-40.
30
J.D. Barrow - F.J. Tipler, The
Anthropic.... cit.; traduzione in L. Galleni, Scienza
e fede. Proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1992, 45.
31 Questa formulazione del
principio antropico è la cosiddetta formula forte; da essa si distingue sia
la formula debole, che si limita a sostenere che la presenza di osservatori
è limitata dalla loro posizione temporale, sia la formula terminale o
finalistica che ipotizza una intelligenza in grado di elaborare le
informazioni del processo cosmologico e, una volta giunta all'esistenza,
impossibilitata a morire.
32
L. Galleni, Scienza erede ... cit.,
48.
33
J.C. Greene, La morte di Adamo. L'evoluzionismo
e la sua influenza sul pensiero occidentale, Feltrinelli, Milano
1971,
109.
34
J. Eccles - K. Popper, L'Io e il
suo cervello, Armando, Roma 1986, 52.
Su questo problema si veda anche J. Eccles, Il mistero uomo, Il
Saggiatore, Milano 1981.
35
Tra i pochi ad aver affrontato questo dibattito tra i teologi, segnalo
A. Ganoczy, Teologia della natura, Queriniana,
Brescia 1997, 379-402; W. Pannenberg, Antropologia
in prospettiva teologica, Queriniana, Brescia 1987, 179-359; J.M. Maldamé,
Cristo e il cosmo ..cit., 92-113.
In realtà, però, non si va molto più avanti di una formalizzazione del
problema.
36
Si ripresentano qui sia il tema della entropia sia quello dei
"buchi neri", là dove questi sono pensati come il risultato
ultimo di una implosione che, giunto al limite del movimento espansivo, sarà
di nuovo ripreso dalla forza gravitazionale fino ad un drammatico, finale big crunch. I "buchi neri" sono materia in pieno
equilibrio termodinamico, nei quali cioè non entra e dai quali non esce
alcuna radiazione.
37
Basti pensare ai virus od alle patologie.
38
Spiccano, al riguardo, i lavori di Lorenz; ne ricordo alcuni: K.
Lorenz ' Il cosiddetto male. Per una
storia naturale dell'aggressione, Il
Saggiatore, Milano 1974; Id., Gli otto
peccati della nostra civiltà, Adelphi, Milano 1974; Id., Il
declino dell'uomo, Mondadori, Milano 1984. Il suo pensiero gira attorno
alla convinzione che l'aggressività è «lo strumento della organizzazione
di tutti gli esseri per la conservazione dei sistemi e della vita che, come
tutte le cose
terrene,
può incappare in disfunzioni distruttive ma che, ciononostante, è
indirizzato al grande risultato organico del bene» (K.
Lorenz, Il cosiddetto male ...
cit., 65).
39
G. Colzani (a cura di), Creazione e
male del cosmo. Scandalo per l'uomo e sfida per il credente, Messaggero,
Padova 1995; A. Ganoczy, Teologia
della natura ... cit, 403-426.
40
E. Chiavacci, Considerazioni etiche, in G. Colzani (a cura di), Creazione
e male ... cit., 100.
41
C. Molari, Rivisitazione di un modello
problematicamente significativo: Teilhard de Chardin, in S. Muratore (a
cura di), Futuro del cosmo futuro
dell'uomo, Messaggero, Padova 1997, 119-164. Tra le molte introduzioni
al suo pensiero ricordo solo R. Gibellini, Teilhard
de Chardin. L'opera e le interpretazioni, Queriniana, Brescia 1991.
42
S. WEINBERG, I primi tre minuti.
L'affascinante storia dell'origine dell'universo, Mondadori, Milano
1977; J.D. Barrow - J. Silk, La mano
sinistra della creazione. Origine ed evoluzione dell'universo, Mondadori,
Milano 1985; J.D. Barrow, Le origini
dell'universo, Sansoni, Milano 1995; G. Norel, Storia della materia e della vita. La trasformazione dell'energia
e l'evoluzione, Mursia, Milano 1989.
43
F. Bertola, Ilfuturo del cosmo: gli
scenari terminali, in G. Ancona (ed.), Cosmologia
e antropologia. Per una scienza dell'uomo,
Messaggero, Padova 1995, 19-29; J.N. Islam, Il destino ultimo dell'universo, Zanichelli, Bologna 1988; P. Davies,
Gli ultimi tre minuti. Congetture sul
destino dell'universo, Sansoni, Milano 1985; I. Sanna, Fede,
scienza e fine del mondo. Come
sperare oggi, Queriniana, Brescia 1996.
44F.J.
Tipler, La fisica dell'immortalità.
Dio, la cosmologia e la risurrezione dei morti, Mondadori, Milano 1995.
45
Ch. Link, Die Transparenz
der Natur fúr das Geheimnis dea, Schöpfung, in G. Altner (ed.), Ökologische
Theologie.
Perspektiven
zur Orientierung, Kreuz,
Stuttgart 1989, 166-195.
46
Occorre- scrive Moltmann- «prescindere da un modo di riflettere di tipo
analitico, fondato sulle distinzioni "soggetto-oggetto" e
apprendere, invece, un tipo di pensiero nuovo, comunicativo, integrale.
Riprenderà così il concetto pre-moderno di ragione come organo percipiente
e partecipativo (methexis)» (J.
Moltmann, Dio nella creazione. Dottrina
ecologica della creazione, Queriniana, Brescia 1986, 14).
47
A. Ganoczy, Teologia della natura, Queriniana,
Brescia 1997, 25-27.
48
G. Colzani, Ilfuturo del mondo tra
processi evolutivi e compimento in Cristo. Per un dialogo tra fede e
scienza, in S.
Muratore
(a cura di), Futuro del cosmo ...
cit., 295-296.
49
H. Dembowski, , Natürliche Theologie und Theologie der Natur, in G. Altner (ed.), Ökologische
Theologie ... cit., 30-58.
50
A. Ganoczy, Teologia della natura ...
cit., 22. Più incerta la presentazione di Dembowski: «Con teologia della
natura si intende il tentativo di acquisire conoscenze sulla natura e una
sua corretta considerazione a partire dalla realtà di Dio, percepita nella
sua rivelazione» (H. Dembowski, Natürliche Theologie ...
cit., 32).
51
Denzinger-Hünermann, 806.
52
Il testo di Rm 1, 19-20 dice che «ciò che di Dio si può conoscere è loro
(ai non-ebrei) manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti dalla
creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere
contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute». Il testo del
Vaticano I insegna che «la stessa santa madre chiesa ritiene e insegna che
Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza
mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create»
(Denzinger-Hünermann, 3004). L'interpretazione di questo certo cognosci posse non
è per niente univoca: mi limito a rimandare a W. Pannenberg, Teologia
sistematica. I, Queriniana,
Brescia 1990, 88-89 con particolare attenzione alla nota 34.
53
«Dio andrà inteso allora come Essere
aperto al mondo, che egli avvolge delle possibilità del proprio essere
e penetra con le forze della sua vita e del suo Spirito. ( ... )Non si può
concepire dunque nessuna trascendenza
del mondo a Dio se non congiunta con questa immanenza
di Dio nel mondo, come
viceversa non si dà un'immanenza evolutiva di Dio nel mondo che non sia
accompagnata dalla sua trascendenza rispetto al mondo. ( ... )Dal punto di
vista teologico il mondo è
concepito come sistema aperto, di tipo
partecipativo ed anticipativo, quando la storia stessa della creazione
viene compresa come interazione di trascendenza e immanenza in Dio stesso»
(pp. 242-243).
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