Introduzione
Visto che il tema assegnatomi
è molto ampio, mi limiterò a fare un rapido sondaggio di un'esperienza storica
(la lettura della Bibbia) durata venti secoli. Mi soffermerò, quindi, in modo
particolare, su alcuni momenti che hanno segnano delle svolte in questa lettura
interpretativa. Nata nel seno del movimento sorto attorno a Gesù di Nazareth,
essa ha avuto in Paolo di Tarso sia l’organizzatore pratico sia il pensatore
sistematico, cioè colui che ha dato una prima sistemazione critica
all’esperienza di fede, riflettendo con le sue comunità per mezzo di
documenti che ci sono arrivati, almeno in parte, e che dicono qualcosa circa la
lettura fatta nelle prime generazioni cristiane. Ci soffermeremo poi
sull'impatto della cultura e della mentalità ebraica del vicino oriente con il mondo greco; il periodo medioevale, che raccoglie l’eredità dei
primi cinque secoli, che sono poi quelli più fecondi e più creativi; e infine
la svolta moderna, che in parte condiziona ancora la lettura attuale della
Bibbia.
In questa
storia interpretativa, sono due gli eventi fondamentali: l’impatto con la
cultura greca, presente già in Paolo, ma che poi verrà elaborata dalle scuole
di Alessandria e di Antiochia, due importanti centri culturali ed ermeneutici,
e, per il periodo medioevale, il rapporto con la filosofia aristotelica, e
quindi l’impatto tra lettura della Bibbia e strumenti della filosofia greca,
utilizzati nelle grandi università, soprattutto a Parigi con Tommaso e
Bonaventura. Per quanto concerne l’epoca moderna (Umanesimo e Rinascimento) la
svolta è rappresentata non tanto dalla Riforma protestante, la quale avrà
importanti implicazione più sul piano ecclesiale e teologico che non sul piano
della metodologia di lettura della Bibbia, quanto piuttosto dall'invenzione
della stampa: la metodologia infatti nasce con gli studi filologici nel contesto
umanistico, su cui si innesta l'invenzione della stampa che favorisce la
diffusione della Bibbia e anche un modo di leggerla.
Ci sono
poi altri fattori, legati però più alla cultura europea (Razionalismo e
Illuminismo), che segnano la spaccatura tra esperienza di fede e organizzazione
della vita sociale e culturale. Questo divorzio, che a livello simbolico ma non
effettivo ha un nome, Galileo Galilei, avviene però nel Settecento, con Baruch
Spinoza, un portoghese che ha vissuto sulla propria pelle il dramma del confitto
tra cattolicesimo e ebraismo.
1.
La lettura della Bibbia nel Nuovo Testamento
·
Paolo di Tarso: midrash
(attualizzazione) e tipologia cristologica
·
Vangeli: compimento
delle scritture in Gesù Cristo
Nella storia interpretativa,
Paolo è il primo rappresentante di una metodologia di lettura secondo una
prospettiva cristiana, cioè una lettura attualizzante della Bibbia che,
partendo dalla fede in Gesù Cristo, il Messia e Signore, utilizza le regole
interpretative della tradizione ebraica (il midrash),
prima che queste regole vengano codificate. Nella prima lettera ai Corinzi egli
afferma: «Queste cose avvennero per servire da esempio (typoi) a noi…» (10,6) e più avanti: «Queste cose avvennero a
loro per servire da esempio (typicos)…»
(10,11): gli avvenimenti dell’Esodo (il passaggio del mare, il cammino del
deserto, il dono della manna) sono avvenimenti prefigurativi dell’esperienza
cristiana. Questo modo di leggere la storia biblica partendo dall’esperienza
del battesimo, dell’eucarestia e del dono dello Spirito e proponendo la
generazione del deserto come modello e prototipo dell’esperienza cristiana è
la lettura che verrà codificata nel periodo successivo (Alessandria), come
lettura tipologica, per effetto della
quale non solo le parole profetiche ma anche gli avvenimenti, le figure e i
personaggi biblici sono un typos, («modello,
stampo») che trova la sua realizzazione nell’antitypos, cioè Gesù e la vicenda cristiana.
Questo
tipo di lettura si trova in parte anche nel vangelo di Matteo, nel quale per
undici volte compare la formula «ciò avvenne affinché si compisse (eplerothe)
quello che era stato detto…»; non è solo un adempiere, ma è una profezia,
cioè l’avvenimento biblico condensato in un testo che giunge alla sua piena
attuazione e al suo svelamento di senso nei fatti che riguardano Gesù. L’idea
di compimento trasforma il Primo Testamento, nella sua globalità e non solo i
singoli testi, in profezia, termine
che non va confuso con predizione,
perché la profezia è l’impegno, la promessa di Dio che si realizza. Gesù
diventa, dunque, la chiave per leggere il Primo Testamento come profezia. Tale
impostazione si rintraccia chiaramente anche nel quarto vangelo, a partire dal
racconto della passione che culmina nell’ultima parola pronunciata da Gesù
prima di morire: «è compiuto (tetelestai)»
(Gv. 19,30): anche in questo caso il compimento non è solo un programma da
eseguire, ma l'idea che il disegno di Dio, interpretato alla luce della vicenda
di Gesù, arriva al suo pieno svelamento, alla sua piena compiutezza. Questo è
il senso del «compiersi»: non è l'annuncio in anteprima di qualcosa che si
compirà, ma una rilettura del Primo Testamento come profezia.
Su questa base metodologica, quella di Paolo, Matteo, Giovanni e possiamo dire
anche dell’Apocalisse (che contiene 500 allusioni al Primo Testamento), si
innesteranno gli scrittori cristiani, i predicatori, i teologi di Alessandria e
di Antiochia per proporre la propria lettura della Bibbia.
2. La lettura della Bibbia all’epoca dei padri
·
Lettura “gnostica” e “marcionita”: dualismo e riduzione
del canone biblico
·
Alessandria: Clemente e Origene, senso letterale e spirituale del
testo biblico
·
Agostino: la regula fidei
e il criterio della carità
Prima di arrivare alla
lettura tradizionale dei padri,
che poi verranno ricopiati e riciclati nel medioevo, c’è un momento
importante che condizionerà la lettura successiva: l’impatto tra la cultura
ebraico-semitica, nel cui alveo è nato il cristianesimo, e il mondo
greco-ellenistico, con la sua concezione dell’uomo, del mondo, dell’origine
del male, della libertà, dell’etica.
Dopo che Paolo
aveva già fatto un lavoro di travaso, utilizzando la traduzione fatta dagli
ebrei alessandrini (la Settanta), l’impatto traumatico avviene nel II sec.,
per iniziativa di alcune correnti dualistiche, che, con termine generico,
possiamo definire gnostiche, in cui
l’esperienza religiosa ha a che fare con una conoscenza segreta della vera
identità e origine personali. Questa concezione dualistica, soprattutto tra
materia e spirito, è insieme cristiana, ebraica ed ellenistica: una mistura e
un arcipelago variegato che ci riporta al problema delle fonti, censurate e
tagliate, e che per fortuna ci sono state restituite, con scritti in copto del
IV-Vsec., grazie al ritrovamento della biblioteca di Nag Hammadi in Egitto.
Facendo leva su
questo dualismo, si presenta a Roma nel 140 d.C., un prete originario del Ponto
di nome Marcione. Figlio del vescovo di Sinope, Marcione propone una lettura
particolare della Bibbia: "lasciate perdere -dice- l’Antico Testamento,
lasciate perdere il Dio della legge, un Dio collerico che va in bestia per
qualsiasi piccola trasgressione, che ha fatto il mondo con il male che contiene;
il mondo è frutto del Dio malvagio, il Dio cattivo, il Dio delle catastrofi, il
Dio vendicativo che castiga. Lasciate perdere questo Testamento, la legge
ebraica, perché Gesù ci ha fatto scoprire un altro volto di Dio che è il
Padre: quello è il Dio della paura, noi abbiamo invece il Dio dell’amore. I
discepoli di Gesù, gli apostoli, non hanno capito molto, ma per fortuna Paolo
ha riscoperto il Dio della libertà, lasciando perdere la legge". Marcione
propone così un canone biblico nel quale viene tagliato l’Antico Testamento e
rimane solo il vangelo di Luca con 10 lettere di Paolo. La chiesa di Roma lo
rifiuta e per la prima volta (140 circa d.C.) si elabora un canone,
probabilmente nato in conflitto con la proposta di Marcione, con la quale per
due secoli il movimento cristiano ha dovuto fare i conti.
Per fortuna
questa proposta non è stata accolta dalla Chiesa, anche se permane il sospetto
nei confronti del primo Testamento e della pesantezza di alcune sue pagine. E'
da questo retroterra che scaturiscono due posizioni: quella alessandrina e
quella agostiniana.
Ad Alessandria,
Origene, esegeta e teologo, persona colta che conosce l’ebraico e il greco,
cercando di stabilire anche il testo criticamente corretto e confrontando le
varie edizioni e traduzioni, propone una lettura dell’Antico Testamento che
tenga conto delle difficoltà che esso suscita nei cristiani. Ci sono alcune
pagine, dice Origene, di cui non vediamo l’utilità: leggendo, per esempio, la
conquista di Gerico, un racconto di guerre, di carneficine, di stragi, uno si
domanda a che scopo Dio ha scritto queste cose, che utilità se ne ricava
leggendole. Ebbene, dice Origene, se queste pagine sono state ispirate dallo
Spirito, significa che c’è un’autorità, la quale va cercata; e la si trova
se non ci si limita a leggere la Scrittura a livello superficiale, cioè il
senso letterale, che pure si deve conoscere. Facendo proprie categorie paoline,
Origene distingue così tre livelli di lettura: quella somatica (soma, «corpo»),
cioè letterale o storica, quella psichica
(psyche, «anima») e quella pneumatica (pneuma,
«spirito»), la lettura più elevata. Solo non fermandosi alla corteccia, cioè
al senso letterale, ma andando al livello spirituale, si trova l’utilitas,
il bene che è presente nella Scrittura.
Questa
distinzione tra lettura letterale (somatica)
e lettura spirituale (pneumatica)
accompagnerà venti secoli di cristianesimo. Fiorirà, come vedremo, nel
Medioevo, quando il senso spirituale si svilupperà in tre diramazioni
(allegorico, morale, escatologico), ma la base resta Origene e Alessandria. Non
si dimentichi che ad Alessandria c’era stato un grande pensatore, predicatore
e filosofo come Filone di Alessandria, le cui opere sono state conservate dai
cristiani, che aveva già applicato la lettura allegorica ai testi biblici, così
come avevano fatto i grammatici di Alessandria per leggere Omero. I racconti
biblici e le vicende storiche, nell’allegoria filoniana, sono simbolo di
qualcos’altro. Filone, così come la cultura greca e tutto l’ambiente di
Alessandria, influenzeranno Origene e la sua lettura: siccome è lo Spirito che
ha dettato e guidato l’autore, bisogna ricercare il messaggio spirituale,
passando però (a differenza di quanto diceva Marcione) attraverso la corteccia,
il corpo.
Agostino
scrive un trattato su come interpretare la Scrittura, De doctrina christiana (Sulla dottrina cristiana) in quattro libri.
Dice Agostino: lo scopo della grammatica, della sintassi, cioè di tutte le
conoscenze che servono per accedere a un libro antico come la Bibbia, devono
portare ad amare Dio e il prossimo, solo così si realizza lo scopo della divina
Scrittura. Anche nei testi più difficili, scabrosi e scandalosi o addirittura
immorali (come gli ordini di uccidere in nome di Dio, della fede) è presente
l’amore, che Agostino invita ad indagare e a cercare, confrontando quei testi
problematici con altri testi più chiari; quando poi non si riesce a trovare un
senso, occorre scavare e pregare fino ad arrivare al regno della carità: solo
così il testo parla.
Nella fase
patristica si distinguono due modi di leggere la scrittura, i quali sono
strettamente legati a due orientamenti teologici (la cosiddetta doppia
cristologia). Ad Alessandria (Clemente e Origene) si procede con una lettura
simbolica, spirituale, allegorica e si insiste più sull’unità del Cristo in
cui la divinità quasi assorbe l’umanità; ad Antiochia invece (Diodoro di
Tarso e Giovanni Crisostomo) prevale una lettura letterale, attenta alla storia,
al testo, alla grammatica e si insiste più sull’umanità di Gesù. Questa
doppia cristologia, troverà un equilibrio nei concili di Efeso e di Calcedonia,
anche se la tendenza alessandrina (il monofisismo)
sarà quella che dominerà l’occidente: per molti cristiani Cristo è Dio, è
sì uomo ma non è come noi. Questo è legato al modo di leggere la Scrittura:
l’attenzione al testo, alla grammatica, alla storia con la sua pesantezza, non
è adatto in una concezione in cui prevale la presenza di Dio fino ad assorbire
l’umanità.
3. La lettura della Bibbia nel medioevo
·
La Lectio divina
·
I quattro sensi della Scrittura: I. letterale o storico; II.
spirituale (allegorico-tipologico); III. morale (tropologico); IV. escatologico
(anagogico)
·
Tommaso d’Aquino: valorizzazione del senso letterale e
spirituale
Nel periodo di mezzo il mondo
occidentale conserva e ricopia scrittori come Agostino, mentre il mondo greco va
per la sua strada, fino alla rottura definitiva del 1050 (Giovanni Crisostomo
resterà il suo punto di riferimento ideale). C'è poi il mondo siriaco, che avrà
una sua letteratura e un suo modo di leggere la Scrittura che solo oggi viene
riscoperta (si pensi ad Efrem).
In
occidente, nei monasteri e nei conventi, si propone, soprattutto nell’ambiente
di Parigi, la lettura della Bibbia come formazione e vita spirituale dei monaci.
Contrariamente a ciò che si pensa di solito, il motto di Benedetto da Norcia
comprendeva tre parole programmatiche: ora, ara et lege; qui lege
non è da intendersi come la recita del breviario, ma come la lettura fatta in
cella dopo il lavoro nei campi (la lectio),
lettura che poi diventerà comunitaria e che verrà elaborata metodologicamente
a Parigi da san Vittore, con i suoi quattro gradini: la lectio, la meditatio, l'oratio
e la contemplatio; si tratta, come si vede, dei vari modi di leggere la
Scrittura, a partire dal senso letterale (lectio)
per arrivare al senso spirituale (la contemplatio).
Lo schema di base, come si vede, è quello elaborato da Origene.
Nell'ambito
universitario, invece, la lectio è la
lezione. Infatti, l'odierna divisione della Bibbia in capitoli corrisponde al
pezzo di Bibbia che si leggeva durante un'ora universitaria a Parigi:
i capitoli insomma sono le letture universitarie. Tommaso d’Aquino, come gli
altri magistri della Scrittura,
pratica la lectio e l’espositio,
cioè la lettura e il commento con qualche piccola applicazione di carattere
dottrinale e morale; è da qui che si svilupperanno gli altri tre sensi della
scrittura dopo quello letterale:
quello spirituale (allegorico-tipologico: «cosa credere?»),
quello morale (tropologico: «cosa
fare?») e quello escatologico
(anagogico: «cosa sperare?»).
Tommaso,
ponendosi il problema di come conciliare il senso letterale con il senso
spirituale, trova una ragione teologica nel fatto che la Bibbia non ha soltanto
un senso letterale, come avviene per tutti gli altri scritti, perché l'autore
non è solo un Geremia o un Paolo, ma anche lo Spirito Santo, il quale può fare
in modo che non solo le parole, ma anche i fatti e gli avvenimenti abbiano un
senso (senso tipologico-spirituale). Il senso spirituale è giustificato dalla
struttura teologica della Bibbia: essa è libro umano e, nello stesso tempo, un
libro che rivela il piano di Dio, e Dio può dare un senso che non è
materialmente presente nella struttura della frase ebraica o greca. E’
importante, qui, il concetto di senso
spirituale: non si tratta di qualcosa di aggiunto artificialmente, ma di
qualcosa che sta dentro il senso letterale. Di fronte agli abusi di alcuni
predicatori, Tommaso ricorda che, quando si fa teologia, cioè riflessione
critica sulla fede in modo organico, ci si deve basare prima di tutto sul testo
letto in modo storico-letterale, anche se non si esclude il senso spirituale.
4. La lettura della Bibbia nella Riforma e nella Controriforma
·
il metodo storico-critico nel contesto
dell’Umanesimo-Rinascimento (Erasmo di Rotterdam) e dell’illuminismo e
razionalismo europeo: Richard Simon (1630-1712), Baruch Spinoza (1632-1677)
·
il principio luterano del sola
Scriptura
·
la lettura cattolica della Bibbia: il concilio di Trento (1546)
Il punto critico che segna la
nascita dell’epoca moderna non è tanto la Riforma protestante, ma la ricerca
filologica degli umanisti. Si tenga presente che, nell’ambiente fiorentino del
Quattrocento, vi è la convinzione che la riforma (anche quella della chiesa)
debba nascere dallo studio dalle lettere; e poiché Dio ha parlato attraverso le
lettere, lo studio del greco e l’ebraico non può che essere l’humus
adatto ad un nuovo approccio ai testi biblici. In questo ambito sono due i
personaggi che hanno avuto un ruolo importante per la lettura critica della
Bibbia: Lorenzo Valla e Erasmo da Rotterdam.
Il primo,
dopo aver trovato un impiego presso la Biblioteca Vaticana, compone un commento
filologico al Nuovo Testamento (1449), che però rimane allo stato di
manoscritto. Erasmo, che vuole anch'egli tornare ad fontes attraverso lo studio delle lettere, trova in una
biblioteca il manoscritto del Valla e, dopo essersi consultato con il suo amico
Fisher, lo pubblica a Parigi nel 1505. Questo commento, in cui il Valla mostra,
tra molte polemiche, che la traduzione di Girolamo non è corretta, è la prima
opera a segnare una svolta nel modo di accostarsi al testo: non solo la ricerca
del senso dottrinale, morale e spirituale, ma la comprensione del testo a
partire dall’originale, cioè da un testo criticamente fondato. Partendo da
questa esperienza, Erasmo batte sul filo di lana gli spagnoli
e pubblica nel 1516 la prima edizione critica del Nuovo Testamento, cui faranno
seguito altre cinque traduzioni.
E' in tale
ambito che nasce il metodo critico: conoscere, leggere, interpretare un testo
partendo dalla sua edizione più sicura, in base ai manoscritti disponibili, e
utilizzando le regole della grammatica, della sintassi, del genere letterario (è
questo il periodo in cui si riscoprono anche i classici greci e latini).
Conoscere il testo nella sua materialità per recuperare anche un nuovo modo di
vivere l’esperienza di fede.
In questo
senso, la vera svolta di Lutero non è tanto il principio del sola
gratia (presente già in Paolo) o l’idea della iustitia
Dei, quanto il principio del sola
Scriptura come unico criterio per credere
e per vivere (fede e morale), in
polemica con il mondo cattolico che aveva trasformato la lettura della Bibbia in
un magazzino per trarre materiale con cui costruire teorie e dottrine di
carattere dogmatico-morale.
Alla
posizione di Lutero reagirà il concilio di Trento. Bisogna notare che, mentre
nella prima fase (1546) si raccomanda lo studio della Bibbia nelle cattedrali,
nei seminari, nei conventi e la predica fatta sul testo, nella seconda fase
(1563) prevarranno altri orientamenti tendenti a porre in primo piano le verità
e la morale; questo porterà, nel Seicento e Settecento, ad una vera e propria
assenza della Scrittura, perché al discorso dottrinale si sovrappone sempre più
quello morale (e così si scade nel moralismo delle prediche), tanto da arrivare
al paradosso per cui i laici per poter leggere la scrittura dovevano avere il
permesso del confessore (cioè dell’autorità ecclesiastica). Come reazione
nei confronti della Riforma protestante, che aveva inoculato il sospetto che la
chiesa manipolasse la Scrittura, la Controriforma stabilisce la centralità
della Vulgata (che non si poteva
tradurre), i propri commenti autorizzati e, addirittura, il permesso
ecclesiastico per poter leggere la Bibbia. Tutto ciò creerà una sorta di
complesso del mondo cattolico nei confronti della Bibbia; come diceva Paul
Claudel: i cattolici hanno una grande venerazione per la Scrittura, perciò se
ne tengono lontani.
Anche la
vicenda di Galileo non segna una vera e propria rottura, perché, quando nel
1613-14 scrive le sue lettere per difendersi dalle accuse di proporre un sistema
che va contro la Scrittura (la famosa frase “Fermati, sole!” di Giosuè), Galileo non fa altro che citare
Agostino, Tommaso e gli esegeti del suo tempo, dove si distingue tra
insegnamento astronomico, storico, scientifico e l’insegnamento
religioso-spirituale: «la scrittura non è stata data per sapere come va il
cielo ma come si va in cielo».
Il vero e
proprio punto di rottura si verifica con Richard Simon (1638-1712) e con Baruch
Spinoza (1632-1677). Simon pubblica a Parigi una introduzione critica
all’Antico Testamento; la bozza del lavoro viene consegnata, dal commissario
di polizia di Parigi, a Jacques Bossuet, il quale, quando vede che Richard Simon
mette in dubbio l’origine mosaica del Pentateuco, fa ritirare le copie e le
brucia. Simon sarà quindi costretto a pubblicare il volume ad Amsterdam, fuori
cioè dagli ambienti cattolici.
Baruch
Spinoza, di fronte all’esperienza delle guerre di religione, che lui aveva
vissuto sulla propria pelle,
scrive che bisogna separare religione e filosofia: la religione ha le sue regole
e i suoi principi, la filosofia segue i suoi principi. Solo se c’è libertà
di filosofare, cioè di ragionare, c’è libertà politica, altrimenti si cade
nella repressione (oggi si direbbe nel fondamentalismo). Spinoza introduce per
la prima volta il criterio secondo cui non c’è bisogno di un’autorità né
politica né religiosa, per leggere la Scrittura, basta il lumen razionale, la capacità che ha l’uomo di ragionare, perché
la natura è Dio stesso (Deus sive natura)
e chi conosce la natura, attraverso la ragione, conosce Dio. Non c’è bisogno
di un magistero e di un’autorità esterna: ogni persona, con le sue capacità
razionali, è in grado di leggere la Bibbia.
E' qui che
nasce l’interpretazione razionale o, per dirla in termini moderni, la
secolarizzazione, cioè la separazione netta tra mondo politico, o mondo della
cultura, e mondo della fede, o mondo religioso. Chi introduce questa
distinzione, utilizzando il principio della razionalità come criterio
ermeneutico, è proprio Spinoza. E' a questo punto, e non con Galileo (che
rimane ancora un credente), che inizia il divorzio: le università studiano la
Bibbia come testo storico-letterario, mentre la chiesa propone la propria
lettura spirituale. Questo spiega anche perché nel mondo protestante si
sviluppa una doppia linea: da una parte un razionalismo esasperato, dall’altra
una lettura pietistica e devota che avrà dei risvolti che sfoceranno, nel 1600,
con il fenomeno del fondamentalismo dei Mennoniti e poi, nel 1912, con i Quaderni
fondamentali nati nel mondo protestante-evangelico americano. Il
fondamentalismo, con il primo congresso del 1885, è nato su questa corrente di
lettura della Bibbia in contrapposizione con la lettura razionale (liberale).
5. Magistero della Chiesa cattolica e lettura della Bibbia
·
Leone XIII (Providentissimus
Deus, 1893: prima enciclica)
·
Benedetto XV (Spiritus
Paraclitus 1920)
·
Pio XII (Divino afflante
Spiritu 1943)
·
Concilio Vaticano II (Dei
Verbum 1965)
·
“L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa”: Pont. Comm.
Biblica (1993)
·
“La Bibbia nella vita della Chiesa”: Conf. Episcopale It.
(1996)
Si può dire che, negli
ultimi cento anni, la lettura della Bibbia non cambia sostanzialmente, al di là
dei dibattiti interni al mondo cattolico e degli interventi del magistero che in
qualche maniera piloteranno la lettura cattolica. In una prima fase (lettera
enciclica di Leone XIII Providentissimus
Deus del 1893) si mette in guardia contro il razionalismo (che nega i
miracoli, l’ispirazione divina, ecc.); successivamente, nell’enciclica di
Pio XII, Divino afflante Spiritu del
1943, viene ammessa (ma di sotterfugio, perché proviene dalle università
protestanti) la possibilità di utilizzare il metodo dei generi letterari.
L’uso dei generi letterari, finalmente reso accessibile anche agli studiosi
cattolici, apre una nuova serie di studi. E tuttavia, prima della pubblicazione
di questa enciclica (1943), era uscito un opuscolo anonimo (1941), indirizzato a
tutti i vescovi, nel quale si metteva in guardia contro i
"razionalisti" e gli "atei" che proponevano una lettura
scientifica della Bibbia; per fortuna venne rifiutato grazie alla presenza,
nella commissione biblica, del grande teologo Tisserand.
Cinquant’anni
di lavoro hanno preparato quello che oggi è il testo di riferimento per la
lettura della Bibbia nella chiesa cattolica, la Dei Verbum (1965), cui ha fatto seguito la lettera della Pontificia
Commissione Biblica L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa (1993), in cui si propone una lettura molto serena
del metodo storico-critico (inaugurato, come detto, da Richard Simon): per
conoscere un testo, bisogna conoscere l’ambiente in cui è sorto (storia
del testo) e utilizzare gli strumenti razionali che tutti possono
controllare (critica del testo). Ciò
non sostituisce la fede, ma consente di non operare manipolazioni selvagge o
letture arbitrarie del testo.
Conclusione
Concludo citando il principio
enunciato dalla Dei Verbum: «Dio
parla agli uomini nella Scrittura, attraverso parole umane». E', trascritto in
termini ermeneutici, il principio della fede cristiana, cioè l’incarnazione:
Dio si comunica a noi attraverso la sua immersione nella storia, fino al punto
di vivere la vita concreta di un essere umano, che noi riconosciamo come il
volto di Dio, cioè Gesù Cristo. Questo principio dell’incarnazione sta alla
base della lettura della Bibbia, la quale non è scientifica solo perché
utilizza strumenti raffinati, ma perché è fedele al principio secondo cui Dio
parla in maniera umana; di conseguenza, per capire e entrare in sintonia con la
Parola di Dio, bisogna cogliere e capire la parola umana.
Conversazione tenuta presso la
Fondazione "Serughetti-La Porta" il 9 novembre 1998. Registrazione non
rivista dall’Autore.
E' interessante notare che nel 1700-1800 le università tedesche che
elaboreranno il metodo storico-critico considereranno Richard Simon come il
padre della critica biblica.
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