LE
VICENDE
DELL’UFFICIO
DEL LAVORO (1919-1921)
Una presentazione critica
e completa del sindacalismo cattolico bergamasco per il periodo immediatamente
successivo alla prima guerra mondiale richiederebbe lo sviluppo dei seguenti
punti: consistenza della sindacalizzazione (numero degli iscritti, settori nei
quali era presente, dinamica associativa, autonomia, finanziamenti), tutela
contrattuale (forme di contratto, contenuto dei medesimi, situazione nella
quale si formavano i contratti e loro applicabilità, incidenza dell’azione
sindacale sui rapporti di lavoro), attività extra-contrattuale (obbiettivi
politici e strumenti usati per realizzarli), uso dello sciopero, legami con le
altre organizzazioni cattoliche, rapporti con gli altri movimenti sindacali.
Il contributo qui presentato toccherà questi punti solo tangenzialmente,
perché il suo scopo è di offrire qualche dato relativo ai rapporti tra
l’Ufficio del Lavoro (centro propulsore e coordinatore delle diverse
associazioni sindacali cattoliche bergamasche) e alcune componenti della
Chiesa locale nel periodo 1919-1921. La scelta è stata determinata anche
dalla documentazione finora rinvenuta
Nel suo primo periodo
(1907-1914) l’Ufficio del Lavoro era stato travagliato dalle polemiche con i
responsabili del movimento cattolico bergamasco, a causa delle posizioni
assunte in alcune vertenze, in particolare nello sciopero di Ranica, così che
alla vigilia della guerra il bilancio dell'organizzazione era pressoché
fallimentare. Il direttore provvisorio, don Francesco Carminati, in una
relazione del 7 aprile 1914 affermava che solo poche leghe erano rimaste in
vita e anche queste con un’attività piuttosto limitata; proponeva perciò
di rafforzare l’Ufficio, del quale era l’unico addetto, per rilanciare
l’organizzazione sindacale a beneficio religioso, morale ed economico delle
masse lavoratrici.
La guerra e la morte del
vescovo
davano il colpo mortale all’Ufficio.
La
ripresa
Immediatamente dopo
l’arrivo del nuovo vescovo ,
la Presidenza dell’Azione Cattolica manifestava l’intenzione di curare in
modo particolare la presenza dei cattolici tra le masse operaie, sia perché
era il settore più scoperto, sia per le agitazioni in atto tra i tessili, sia
per i prevedibili problemi del dopoguerra e anche per la temuta concorrenza
dei socialisti: così all’inizio del 1916 si riapriva l’Ufficio del
Lavoro.
La sua riattivazione però
si dimostrò piuttosto difficile, per la guerra che impegnava gli uomini
migliori, per una certa resistenza del clero ed anche per le idee non molto
precise circa la natura dell’istituzione e della sua attività. Sempre nel
1916 si nominava una commissione per l’organizzazione e la vigilanza
dell’Ufficio, si contattarono diverse persone per l’incarico di direttore
e di segretario, perché il progetto prevedeva un direttore, un sacerdote come
assistente collaboratore, un segretario propagandista, un contabile cassiere e
un consiglio direttivo.
Alla fine della guerra
esisteva il consiglio direttivo (era la commissione precedente completata da
alcuni membri) presieduto da don Francesco Garbelli, parroco della parrocchia
cittadina di S. Caterina; il direttore don Franco Carminati, coadiutore a
Grumello del Monte ed esperto organizzatore del sindacato dei bottonieri e
delle leghe dei contadini della sua zona; il segretario, Celestino Ferrano,
proveniente da Monza; la responsabilità ultima e l’onere finanziario erano
della Giunta dell’Azione Cattolica .
Durante la guerra
l’azione dell’Ufficio si era concentrata in modo speciale nel settore dei
tessili, guidando le agitazioni del luglio e novembre 1917 per l’aumento del
caro-viveri e quelle del maggio, del giugno e dell’ottobre 1918, sempre con
lo stesso obbiettivo e per ottenere l’indennizzo per le interruzioni di
lavoro provocate dalla mancanza di materie prime.
Nel 1917, per esempio, si
erano tenute più di duecento conferenze
e alla fine del 1918 si contavano 12 mila tessili raccolti nella Federazione
Operai Tessili, 479 muratori, 212 metallurgici, una sezione del Sindacato
Nazionale tra i Ferrovieri cattolici, si stavano organizzando anche gli
impiegati ed i pensionati e, con speciale impegno, si erano gettate le basi
dell’organizzazione dei mezzadri, che rappresentavano la porzione più
consistente e più inquieta degli addetti all’agricoltura .
Nel 1917 l’azione
dell’Ufficio del Lavoro aveva inquietato le autorità di pubblica sicurezza
e il prefetto ne aveva minacciato la chiusura sotto l’accusa di sobillazione
.
L’attività
(1919-1920)
L’organizzazione si
sviluppò rapidamente, così che nel maggio 1919 funzionavano la Federazione
dei Tessili, con più di 17 mila aderenti; il Sindacato dei bottonieri, con
circa mille iscritti; la Federazione muraria, con 300 membri; l'Unione dei
contadini, con più di 10 mila aderenti raccolti in 104 sezioni; continuava la
sezione dei ferrovieri, era sorta la Federazione dei lavoratori delle
industrie estrattive, funzionavano poi altre leghe che progressivamente si
sarebbero raccolte nelle rispettive federazioni; complessivamente gli aderenti
all’Ufficio erano più di 30 mila e nei mesi successivi aumentarono ancora .
Penso che questo successo
quantitativo sia da attribuirsi alla maturazione delle masse provocata dalla
guerra e dai problemi economici del dopoguerra; era però anche il frutto
della lunga tradizione dell’associazionismo cattolico bergamasco e
dell’intensa propaganda esplicata dall’Ufficio del Lavoro per convincere i
lavoratori, in modo particolare i contadini, circa la necessità di
organizzarsi per dare sbocco positivo alle loro rivendicazioni e importanza
sociale alla loro classe.
La struttura interna
dell’organizzazione si sviluppava secondo la linea accennata sopra: le
diverse federazioni, almeno quelle principali, avevano un proprio consiglio
direttivo, formato in gran parte da membri eletti dalla base; l’attività
coordinatrice era affidata al direttore e al segretario, che intervenivano
direttamente nelle questioni principali per le quali erano sempre consultati
il consiglio direttivo interessato e i rappresentanti della base; il
collegamento con la periferia era assicurato da diversi propagandisti. Le
direttive generali erano fissate dal consiglio direttivo generale, a sua volta
controllato dalla Giunta dell’Azione Cattolica. Quindi un notevole sforzo
per una sensibilizzazione capillare e per una vasta partecipazione
all’elaborazione della linea di condotta dei diversi sindacati: le numerose
assemblee, i vari convegni, le discussioni con gli interessati prima e dopo la
stipulazione dei contratti, erano alcuni dei momenti di un sindacalismo che si
proponeva non solamente la soluzione delle vertenze, ma anche la crescita
sociale delle masse .
Il 2 agosto 1919 l’Ufficio dava inizio, senza consultare il vescovo, alla
pubblicazione del settimanale La squilla dei lavoratori, altro segno
della vitalità dell’organizzazione e della sua volontà di evitare il
verticismo. Nelle elezioni politiche del 16 novembre dello stesso anno, il
candidato dell’Ufficio, Carlo Cavalli, benché osteggiato dai dirigenti
locali del Partito Popolare e dal quotidiano cattolico L’Eco di Bergamo (era
stato imposto da Sturzo per accontentare la corrente sindacale del partito)
ottenne il maggior numero di preferenze, superando candidati già da tempo
affermati come Preda, Bonomi, Cameroni.
Per quanto riguarda
l’attività politica, pur appoggiando il Partito Popolare, i responsabili
de! movimento sindacale cattolico, tutti militanti nello stesso partito,
sottolineavano che la loro azione voleva limitarsi al sociale e
all’economico.
Per l’attività più
propriamente contrattuale svolta nel settore rurale mi limito ad indicare le
linee generali .
I mezzadri bergamaschi partecipavano intensamente al travaglio che scuoteva il
mondo rurale italiano subito dopo la conclusione della guerra e le
manifestazioni, più o meno clamorose, diventavano sempre più frequenti. I
motivi immediati potevano essere diversi, però sullo sfondo, quale punto di
raccordo di tutte le aspirazioni, si agitava la questione de! passaggio dalia
mezzadria all’affitto. L’Ufficio dei Lavoro cercò di orientare la sua
opera verso questi obbiettivi: nei comizi, nelle frequenti adunanze e sul
settimanale si sosteneva con chiarezza che la meta ultima da raggiungere era
l’affitto, o meglio, questa era la penultima tappa che avrebbe dovuto
portare i lavoratori della terra alla proprietà diretta. Come soluzione
immediata l’Ufficio decise di partecipare attivamente al miglioramento del
contratto di mezzadria, stipulato nell’aprile dei 1919, e rinnovato, con
alcune migliorie, l’anno successivo. Contemporaneamente elaborava un
capitolato per quei proprietari che volevano concedere la terra in affitto,
insisteva perché le proprietà degli utenti pubblici fossero concesse in
affittanza collettiva ai contadini, assisteva con ogni mezzo quei mezzadri ai
quali era offerta la possibilità dell’affitto.
Intenso era pure
l’aiuto prestato nelle sempre più numerose vertenze che si aprivano in
quasi tutto il territorio della provincia e che diventarono aspre negli ultimi
mesi dei 1919 e all’inizio dell’anno successivo. Aumentarono infatti gli
escomi, perché diversi proprietari disdicevano il patto colonico con il
pretesto di dare la terra ai disoccupati, disponibili a qualsiasi contratto.
Diventava perciò sempre più difficile gestire una situazione che si faceva
ogni giorno più esplosiva e quindi le richieste dell’Ufficio si
irrigidivano: più perentorie le richieste dell’affitto e le pressioni sulle
autorità perché le appoggiassero con il loro peso; minaccia di resistere con
la forza e con la solidarietà di tutti i mezzadri agli escomi; da parte di
alcuni propagandisti, con il tacito assenso del centro, si parlava apertamente
di organizzare il boicottaggio nei confronti di quei proprietari che si
dimostravano restii a concedere la terra in affitto.
Parallelamente si poneva
con chiarezza il problema del cattivo stato delle case coloniche, se ne
trattava spesso sul settimanale, se ne discuteva nei convegni, si chiedeva al
prefetto la requisizione delle case inabitate a vantaggio dei contadini male
alloggiati e la costituzione di commissioni comunali, autorizzate ad imporre
ai proprietari di case coloniche le sistemazioni ritenute necessarie.
L’Ufficio del Lavoro si fece poi promotore e guidò diverse altre vertenze,
come lo sciopero dei bottonieri (5-15 febbraio 1919) per ottenere un
consistente aumento de! caroviveri, il sussidio di disoccupazione e le
quarantotto ore settimanali, già ottenute dai tessili. Lo sciopero più
significativo fu quello generale dei tessili (28 luglio - 8 agosto 1919) per
ottenere un aumento salariale del 50 %; la vertenza si concluse, attraverso
una mediazione del governo, con la concessione di un aumento del 20 %. Durante
questo sciopero furano molto attivi Guido Miglioli e Romano Cocchi, che da
Cremona passava all’Ufficio dei Lavoro di Bergamo, come segretario della
Federazione tessili e poi quale segretario generale, in sostituzione di
Celestino Ferrario, dimissionario per dissensi con la direzione.
Nei primi mesi del 1920
l’Ufficio accentuò le sue prese di posizione. Le richieste avanzate per i
tessili, oltre all’aumento salariale del 50 % ed al rifiuto delle ore
straordinarie, si estendevano alla compartecipazione degli utili, ad un certo
controllo delle assunzioni da parte delle commissioni interne e
all’obbligatorietà, per i lavoratori, di essere iscritti
all’organizzazione di classe da loro preferita. Dopo otto giorni di
sciopero, il 6 febbraio 1920, venne firmato il nuovo contratto: venivano
accolte le prime due richieste, mentre le altre erano demandate agli esiti del
dibattito che si stava svolgendo a livello nazionale.
Anche altre categorie
(cementieri, muratori, bottonieri, ecc.), con dure lotte caratterizzate da
notevole solidarietà, riuscirono a spuntare vistosi aumenti.
In sostanza mi pare si
possa affermare che l’Ufficio del Lavoro era riuscito in breve tempo a
diventare il punto di riferimento della maggioranza dei lavoratori bergamaschi,
perché era stato capace di interpretare abbastanza realisticamente le loro
richieste, naturalmente all’interno del programma della CIL, alla quale
aderiva, senza però significativi rapporti pratici, preferendo mantenere una
certa autonomia.
Le
polemiche
I frequenti scioperi
organizzati e sostenuti dall’Ufficio del Lavoro, le richieste sempre più
pressanti della terra in affitto, le intemperanze verbali di qualche
propagandista, unite ad alcuni episodi di violenza e, sullo sfondo, la
situazione generale del paese, inquietavano alcune componenti del mondo
cattolico.
Le critiche più dure
uscivano dalla Giunta dell’Azione Cattolica, responsabile ultima delle
scelte dell’Ufficio del Lavoro. Già nel dicembre 1918, il presidente
Giuseppe Locatelli, aveva accusato l’Ufficio di fomentare la lotta di classe
e alla critica si era associato il vicepresidente, Francesco Volpi. Il
direttore de L’Eco di Bergamo, don Bortolotti, difendeva invece l’operato
dell’Ufficio ed attaccava aspramente il conservatorismo dei proprietari. Il
presidente dell’Ufficio, don Garbelli, si limitava a richiamare lo statuto,
approvato dal vescovo, nel quale era contenuto l’esplicito impegno a
difendere, nel pieno rispetto della legalità, i contadini nell’acquisizione
di tutti i miglioramenti ritenuti possibili .
La questione riesplodeva
nei primi mesi del 1919 ;
il presidente attaccava duramente don Carminati, minacciava le dimissioni,
polemizzava con l’Ufficio nel convegno annuale delle organizzazioni
cattoliche locali e, nel mese di giugno, in una lettera al vescovo, così
puntualizzava il problema: «Può la Giunta Diocesana, per istituto suo e per
la grave responsabilità che le incombe, consentire con tranquilla coscienza
al proprio Ufficio del Lavoro di adoperarsi (sia pure con mezzi che essa dice
di semplice persuasione) a far sì che tutti i contadini organizzati — i
quali sono ormai la quasi totalità della Provincia — rifiutino solidalmente
la loro opera al proprietario, che non crede di dover concedere la sua terra
in affitto?». Naturalmente egli era per la negativa, perché si ricorreva
all’arma «non sempre lecita dello sciopero generale, si calpestava lo
stesso diritto di natura così in ordine alla proprietà, come alla libertà
di lavoro». E poi «la meta finale, confessata, a cui tende l’U. del
Lavoro, è quella di sostituire la classe dei contadini, tutt’altro che
preparati tecnicamente e intellettualmente, all’intera classe dei
proprietari attuali» così "benemeriti”
. Il vescovo, dopo aver interpellato il presidente dell’Unione Popolare e la
Segreteria di Stato, rispondeva negativamente. Egli era poi già intervenuto,
sia pure indirettamente, con la lettera pastorale del 19 marzo 1919, nella
quale ricordava il dovere di rispettare il principio di proprietà, che non si
può ridurre solamente alla casa, al terreno e al capitale ma «è per i
lavoratori vera proprietà altrettanto sacra la propria energia consacrata al
lavoro. E’ dunque essenzialmente necessaria la giustizia più scrupolosa
d’ambe le parti, non conflitti, non lotte tumultuose ed esagerate, ma con
calma si espongono i propri diritti senza diminuire i reciproci doveri». Le
stesse idee erano esposte nella lettera pastorale dell’episcopato lombardo
(19 luglio 1919) alla quale, a Bergamo, si fece seguire una significativa
scelta di «Principii e direttive generali per l’azione sociale cattolica»,
tratti dalla Rerum Novarum e concernenti la collaborazione delle
classi, il rispetto della proprietà privata e i suoi doveri morali e sociali,
lo sciopero come extrema ratio, i limiti della solidarietà nello sciopero e
nella rivendicazione delle legittime aspirazioni. Il 30 settembre 1919 il
vescovo pubblica la seguente dichiarazione: «A rispondere alle insistenti
domande di molti rev. sacerdoti e di molti laici ed a sgravio di una
responsabilità che assolutamente non vogliamo assumerci, dichiariamo
formalmente che nessun propagandista, sacerdote o laico, venne da Noi
autorizzato a diffondere in nome Nostro teorie o metodi sociali che, per
molteplici reazioni avute, dobbiamo ritenere in aperta contraddizione agli
insegnamenti della Nostra Lettera Pastorale 19 marzo 1919 scritta in conformità
alle istruzioni avute dalla Suprema autorità della Chiesa» .
Era una chiara sconfessione dei metodi dell’Ufficio del Lavoro, ribadita e
resa più netta nella lettera agli interessati; probabilmente progettava già
interventi decisi per rimuovere alcune persone e riportare l’Ufficio
all’obbedienza alle direttive episcopali, soprattutto dopo che il conte
Della Torre gli aveva garantito il totale appoggio delle «Superiori Autorità».
Nel marzo del 1919 erano
scesi in campo anche alcuni parroci della vicaria di Telgate, per lamentarsi
con la Giunta, perché gli organizzatori dei contadini li lasciavano in
disparte. Altri sacerdoti, invece, sostenevano con ardore tutte le iniziative
dell’Ufficio, che naturalmente era strenuamente difeso dal suo presidente.
Per esempio, riguardo al quesito rivolto dal Locatelli al vescovo, Francesco
Garbelli non contestava la sostanza della presentazione del tormentato
problema "mezzadria o affitto?”, però gli sembravano forzati i modi in
cui veniva posto e soprattutto sosteneva che si dimenticava che l’Ufficio
del Lavoro aveva come compito istituzionale la gestione e la difesa delle
richieste delle masse lavoratrici. Per la richiesta dell’affitto egli era
d’avviso che si trattava «di un diritto sociale, e che l’invocarlo sia
perfettamente lecito anche di fronte alla morale, onde sono leciti anche i
mezzi legittimi per conseguire la realizzazione di un tale diritto esclusi
sempre, ben inteso, i mezzi illegali e violenti» .
Affermava inoltre che «personalmente
egli ritiene che la solidarietà degli organizzati sia ammissibile anche
neH’ipotesi che fu prospettata col quesito sottoposto a Mons. Vescovo», però
«se teoricamente si è parlato della eventualità di uno sciopero generale
dei contadini, l’Ufficio del Lavoro ha sempre sconsigliato e sconsiglia
tuttora gli scioperi»
.
Anche L’Eco di
Bergamo si dimostrò favorevole all’Ufficio, difendendolo dai ripetuti
attacchi della stampa borghese, pur non nascondendo la sua preoccupazione per
il linguaggio "classista” di alcuni propagandisti. Nei primi mesi
dell’anno il giornale aveva aperto un dibattito, dai toni abbastanza seri e
sereni, sulla questione della terra in affitto; dopo diversi interventi tesi
ad illuminare gli aspetti morali, sociali ed economici del problema, la
discussione veniva conclusa da un articolo del direttore, sostanzialmente
equilibrato e interlocutorio, nel senso che riteneva la questione non ancora
sufficientemente chiarita ed invitava tutti (mezzadri, proprietari, Ufficio
del Lavoro) a continuare il dialogo senza preclusioni di sorta. Ricordava poi
che il problema della terra ai contadini non era stato creato artificiosamente
dai propagandisti dell’Ufficio, ma si radicava nell’evoluzione della
società e nelle promesse fatte durante la guerra. Naturalmente escludeva
qualsiasi lotta di classe ed ogni violenza: «Bisogna sapere bene distinguere
ciò che è legittima rivendicazione di classe per stabilire una feconda
armonia nel mondo del lavoro e della produzione e per dare nello Stato pari
dignità a tutte le classi, da ciò che può riuscire a demolizione dello
stesso edificio economico e sociale»
.
All’inizio del 1920 il
vescovo veniva insistentemente sollecitato da varie parti a prendere posizione
contro i dirigenti dell’Ufficio, accusati di azioni contrarie allo
"spirito cristiano” (così i parroci della diocesi), di propaganda
rivoluzionaria e di guidare le masse con incoscienza (così numerose
personalità del laicato cattolico), il 13 e 14 febbraio entrava pesantemente
in scena il direttore del quotidiano cattolico, con due articoli di aperta
condanna dell’operato dell’Ufficio del Lavoro, Prendendo lo spunto da
alcuni episodi di violenza egli ne individuava la causa nei «sistemi di
propaganda, tutt’altro che ponderati, prudenti e cristiani, di alcuni almeno
dei propagandisti e dei capilega dell’Ufficio del Lavoro. Affatti ignari dei
principii anche fondamentali della cristiana sociologia e, diciamolo
francamente, aventi troppa poca familiarità colla stessa dottrina cristiana
seminano odio, incitano a rendersi giustizia da sé, ricorrono facilmente allo
sciopero [...].
Nelle recenti faccende
dei tessili ad arte hanno presentato richieste impossibili, non parlano mai di
religione e di morale (la questione sociale è principalmente questione
morale) e là dove più ha lavorato l’Ufficio del Lavoro è diminuita la
pratica religiosa [...]. Occorre mutare criteri e sistemi di propaganda,
occorre cambiare certi propagandisti». Due giorni dopo (16 febbraio) il
censore della stampa cattolica, don Battista Ruggeri, stigmatizzava gli errori
del settimanale dell’Ufficio: mancanza di accenni religiosi, assenza della
dottrina sociale cristiana e sostegno alla lotta di classe. Da Roma la C.I.L.
e il Partito Popolare inviavano Ulisse Carbone per un’inchiesta dalla quale
pare, almeno stando alle indiscrezioni giornalistiche ,
ne uscivano malconci alcuni dirigenti locali del Partito Popolare e
dell’Azione Cattolica. L’Ufficio del Lavoro cercò di difendersi dalla
tempesta con un articolo, laudativo de! proprio operato, pubblicato su Domani
Sociale
e con un ordine del giorno di piena solidarietà e di condanna del quotidiano
cattolico bergamasco, firmato dagli organizzatori degli Uffici del Lavoro
dell’Alta Italia .
Si era mossa anche la Segreteria di Stato (3 e 11 febbraio), chiedendo
chiarimenti al vescovo e offrendogli l’aiuto da lui giudicato necessario. Il
vescovo spedì una relazione molto critica nei confronti di tutti i
responsabili dell’Ufficio del Lavoro: indisciplina verso i parroci,
linguaggio socialista, pretesa della terra in proprietà o almeno in affitto,
sciopero facile e mancanza di sensibilità religiosa. Preannunciava mutamenti
radicali e dichiarava utilissima la lettera pontificia che gli era stata
offerta e per la quale enumerava alcuni punti: doveri delle classi più ricche
e più colte di favorire il miglioramento economico delle altre, rispetto dei
diritti di tutti, propaganda impregnata di spirito cristiano e di
preoccupazioni morali, convenienza ma non obbligatorietà della partecipazione
agli utili (i proprietari dovrebbero però favorirla). Il documento
pontificio, giunto a Bergamo l’11 marzo, svolgeva tutte le questioni
indicate dal vescovo, eccetto quella della partecipazione agli utili e
concludeva: «Noi amiamo sperare che tutti ti ascolteranno, che se qualcuno
avesse comunque a mostrarsi restio, senza esitanza lo rimuoverai dal suo
ufficio» .
Un gruppo di notabili cattolici preparò la soluzione definitiva, facilitata
dalle pronte dimissioni dei due sacerdoti responsabili, il presidente Garbelli
e il direttore Carminati. Il 1 aprile il vescovo nominava una commissione
presieduta dal provicario generale, già consulente morale dell’Ufficio, con
l’incarico di ristrutturare integralmente l'Ufficio del Lavoro; vennero
licenziati i più compromessi e il 1 giugno si allontanò anche la personalità
più discussa, ma indubbiamente anche la più seguita, Romano Cocchi,
segretario generale, coinvolto anche nelle polemiche scoppiate all’interno
del gruppo dirigente bergamasco del Partito Popolare. Egli però, appoggiato
da alcuni membri del Consiglio direttivo, in nome dell’autonomia del
movimento sindacale contestò la validità del licenziamento e si fece
eleggere Direttore dell’Ufficio, occupandone la sede per circa un mese .
Il 7 giugno il vescovo, con una dura comunicazione, espelleva Cocchi e seguaci
dall’organizzazione sociale cattolica ;
come risposta essi fondavano l’Unione del Lavoro che, a partire
dall’undici luglio, pubblicava un proprio settimanale, Bandiera Bianca.
Nella diocesi esistevano ormai due organizzazioni sindacali cattoliche,
ambedue aderenti e riconosciute dalla C.I.L. ed entrambe legate al Partito
Popolare. Le polemiche dilagavano sui due settimanali, con violenza
all'Interno degli stabilimenti e anche nella predicazione dei sacerdoti.
L’Ufficio de! Lavoro ribadiva la necessità di essere fedeli alla dottrina
sociale cristiana mediante l’ubbidienza alla gerarchia ecclesiastica e di
opporsi al socialismo nei metodi e nei contenuti delle rivendicazioni
economico-sociali, che dovevano essere sempre accompagnate da un forte impegno
per la formazione religiosa e morale. L’Unione del Lavoro invece esaltava
l’autonomia del movimento sindacale, l’intransigenza nelle lotte
necessarie per raggiungere gli obbiettivi e l’ampliamento degli stessi: «l’organizzazione
doveva emanciparsi, trasformando la sua funzione, ampliandola dal campo
economico a quello politico e diventare un anello organico della vita sociale
per mutarla radicalmente». Sul piano pratico l’Ufficio del Lavoro
normalmente cercava di collegarsi con le organizzazioni nazionali e di seguire
la strada più realista e più moderata; l’Unione del Lavoro invece
accentuava il carattere provinciale del movimento ed esasperava le
rivendicazioni, alle volte in forma un po’ demagogica. Naturalmente il
dissidio indebolì la forza contrattuale delle masse lavoratrici a vantaggio
dell’altro contraente, che non tardò ad approfittarne. La C.I.L. e il
Partito Popolare tentarono ripetutamente di far rientrare la scissione, non
risparmiando critiche all'Ufficio del Lavoro per l’intransigenza manifestata
nelle polemiche e perché più ossequiente alle direttive del vescovo che alle
loro. Il vescovo, stanco di sollecitare, anche attraverso la Segreteria di
Stato, i dirigenti nazionali del partito e della confederazione perché
sconfessassero i "ribelli” (nell’agosto erano stati da lui espulsi da
ogni associazione cattolica)
decise di riorganizzare in modo definitivo l'Ufficio del Lavoro (novembre
1920); il quotidiano cattolico e il settimanale La squilla dei lavoratori
sovente polemizzarono con l’attendismo dei politici e dei sindacalisti, il
chiarimento decisivo arrivò solamente nel febbraio 1921, quando la C.I.L.
sconfessava l’Unione del Lavoro e il Partito Popolare espelleva Cocchi e
seguaci. Il motivo immediato era il rifiuto da parte dell’Unione del Lavoro
delle ultime proposte conciliative avanzate dalla C.I.L.; in realtà, oltre
alle pressioni della Segreteria di Stato e al numero degli aderenti, deve
essere stato determinante l’atteggiamento sempre più autonomo e sempre più
"filo-socialista” del movimento cocchiano. L’Ufficio del Lavoro,
iniziando dal nome (Unione Confederale del Lavoro di Bergamo) venne
riorganizzato completamente secondo gli statuti della C.I.L., superando così
l’ambiguità di prima: era un organismo sindacale aderente alla C.I.L. e
insieme istituzione direttamente gestita dall’Azione Cattolica. I "cocchiani”
si presentarono alle elezioni del 19 maggio 1921 ottenendo 7.700 voti (il
Partito Popolare raccolse 48.161 voti) e nessun deputato; l’abbandono dei
capi più prestigiosi convinse Cocchi a far confluire il suo movimento in
quello socialista (estate 1921).
Il tema è stato in parte
trattato da G. Bonomini, Il sindacalismo cattolico bergamasco nel primo
dopoguerra (1919-1920), in "Ricerche di storia contemporanea
bergamasca”, n. 3-4, 1972, pp. 23-36.
Presso l’Archivio della
Curia Vescovile di Bergamo ho consultato la busta "Ufficio dei
Lavoro”, contenente una ricca documentazione del periodo 1919-1921,
relativa al rapporto con gli organismi cattolici; notizie utili anche
nella b. VI, 31 (Verbali delle -adunanze della Giunta Diocesana 1915-1925)
e nella b. VI, 32 (Giunta Diocesana. Verbali delle sedute dell’ufficio
di presidenza 1915-1925); dati sono stati forniti anche dallo spoglio de
L’Eco di Bergamo, dal settimanale dell’Ufficio del Lavoro, La
squilla dei lavoratori, e da Bandiera Bianca,
settimanale dell’Unione del Lavoro, fondato da Romano Cocchi.
L’archivio
dell’organizzazione non è stato finora trovato, probabilmente fu
asportato dai cocchiani, perciò è difficile ricostruire la vita interna
dei vari organismi sindacali, dei quali non si conoscono neppure gli
statuti.
In un lavoro di prossima
pubblicazione verrà presentata la ricostruzione completa delle vicende
dell’Ufficio del Lavoro.
Archivio Curia Vescovile, b. VI, 71.
Mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi moriva il
22 agosto 1914.
Mons. Luigi Maria Marelli entrava in diocesi
I’ 11 aprile 1915.
La lettura dei verbali delle riunioni della
Giunta e della Presidenza della Azione Cattolica permette solamente una
parziale ricostruzione degli episodi accennati nel testo.
L’Eco di Bergamo, 19
marzo 1919.
Seduta della Presidenza, 9 gennaio 1919.
Seduta della Giunta, 21 ottobre 1918.
Seduta della Presidenza, 4-11 -18 dicembre
1917.
L'Eco di Bergamo,
19 maggio 1919. Il 3 luglio 1919, il giornale parlava di 70.000
organizzati.
Come esempi si possono ricordare i convegni
dei rappresentanti dei contadini del 26 gennaio 1919, 14 marzo 1919, 16
aprile 1919, 14 maggio 1919, 1 luglio 1919, 1 marzo 1920 quando convennero
a Bergamo dagli 8 ai 10 mila contadini.
Per questa sintesi mi sono servito delle
cronache dei convegni, dei comunicati e degli articoli apparsi sulla
stampa indicata precedentemente.
Seduta della Presidenza, 10 dicembre 1918.
Seduta della Presidenza, 18 marzo 1919,
accenni anche in quelle successive. Seduta della Giunta, 27 maggio 1919.
La lettera, 17 giugno 1919, nella b.
"Ufficio del Lavoro”.
Tutti questi documenti sono reperibili ne La
Vita Diocesana, IX (1919), pp. 47-50, 99-107, 111-115, 134.
Seduta della Presidenza, 1 aprile 1919.
Seduta della Giunta, 18 luglio 1919.
L’Eco di Bergamo, 29-31
gennaio, 1-3-5-7-12-15-19-21-27 febbraio, 20-25 marzo 1919.
II Popolo, 2
aprile 1920.
La squilla dei
lavoratori, 6 marzo 1919 (riportato integralmente).
L’articolo è intitolato "Bergamo e il sistema”.
La squilla dei lavoratori, 28 febbraio
1920.
La Vita Diocesana, XII (1920), pp. 44-47. I documenti
utilizzati per questa parte nella b. "Ufficio del Lavoro”.
La versione cocchiana dei fatti in R. Cocchi
- E. Tulli, Scandali nella Vandea clericale, Milano, 1923.
La Vita Diocesana,
XII (1920), pp. 75-76.
La Vita Diocesana,
XII (1920), pp. 121-124.