Il titolo della mia relazione converge sull'ultimo punto, quello del perdono. Non parlerò perciò dell’origine del terrorismo (ne ha già trattato il prof. Padiglione) nè delle incidenze che una certa cultura cattolica cristiana può aver avuto rispetto alle modalità dello scaturire del terrorismo.
La domanda centrale a cui voglio rispondere è: "ora, che fare?” Penso così di rispondere anche al dubbio sollevato dal prof. Padiglione e ripreso da altri: il perdono non è forse un tentativo "magico? o un tentativo per "catturare" il diverso?
Parlo in prospettiva teologica, non tanto morale. Come cristiano mi pongo il problema di quali sono le esigenze che oggi, in questa situazione, il Vangelo mi richiede.
Le proposte che possono scaturire sembreranno idealistiche ed utopiche, perché il Vangelo è idealismo, nel senso che quanto ha voluto annunciare in gran parte non è ancora stato realizzato. Il che non significa che non si potrà realizzare o almeno iniziare il cammino per realizzarlo. La premessa è comunque che parto da una ispirazione cristiana,
Ci sono esigenze nuove che richiedono risposte inedite all’umanità. Non solo un cammino della coscienza individuale, ma anche dell'umanità intera. Oggi si presentano delle possibilità o delle opportunità fino a ieri impensabili. Bisogna essere coscienti del “Kairos”, cioè del momento opportuno nella storia. Ciò vale non solo dal punto di vista religioso.
Oggi per esempio il problema della fraternità umana si pone ad un livello universale come esigenza concreta, mentre nel passato era molto più limitata. Così l’esigenza del dialogo fra le culture,
Quello che è stato fatto nel passato oggi non basta più. A livello religioso non possiamo vivere imitando i santi del passato e nemmeno imitando Gesù: l’umanità di oggi è inedita, ha cammini nuovi da percorrere, santi rispondono a questa esigenza, Gesù a un certo punto ha addirittura detto: "farete delle cose più grandi di quelle che io ho fatto". Ci sono 3 modalità sbagliate di pensare il perdono, che lo rendono fortemente equivoco, non solo rispetto al problema del terrorismo, ma anche nei rapporti sociali fra le classi, o a livello interpersonale.
Il primo errore è quello dell’individualismo, di pensare cioè al perdono come un atto personale, a cui sono chiamati gli individui nella loro realtà individuale.
Il perdono ha subito quella pesante riduzione che ha contaminato gran parte del messaggio cristiano, considerato valido sul piano individuale, sempre meno valido e impegnativo man mano che si passa al rapporto familiare, di gruppi sociali, di nazione. Ad es. il motivo dell' "onore violato", giudicato inadeguato per giustificare la liceità morale del duello, veniva invece accettato come principio sufficiente per giustificare la guerra tra gli Stati. Il perdono non è mai stato ritenuto concepibile a livello di rapporti internazionali, dove invece valevano principi d’altro genere, gli stessi che per esempio fino a non molto tempo fa permettevano di fondare la teoria della “guerra giusta”. L’individualismo dominante creava nei fatti l’impossibilità della scelta del perdono anche a livello di rapporti interpersonali.
Il più del le volte infatti il perdono esige, per essere costruito, la collaborazione di più individui. Inutile insistere su questo aspetto: mi preme sottolineare come tutta la vita sacramentale, centrale nella fede cristiana, è stata inquinata dall’individualismo.
Sacramenti come l’eucarestia (il cenare insieme) o la Penitenza, atti eminentemente comunitari, hanno subito una impressionante riduzione a gesti di pietà individuale,
Secondo errore: una concezione negativa del perdono. In questa concezione si pensa al perdono come un dimenticare quello che è successo, oppure un non reagire come chi ha fatto l’errore meriterebbe, oppure ancora come un ricercare le attenuanti verso chi ha sbagliato. Questo modo di pensare il perdono è proprio il segno dell’incapacità di perdonare. Il perdono infatti è rivolto proprio a chi ha davvero sbagliato (se non ha sbagliato o non era libero o non intendeva sbagli are o non avvertiva la gravità dell’errore non ha bisogno di essere perdonato), ha compiuto il male essendo consapevole della sua gravità.
Non sottovalutare il problema del perdono ci impone di aver presente che noi per primi abbiamo bisogno di essere perdonati, accettare il perdono come possibilità di iniziare una strada nuova: per fare questa scelta dobbiamo capire che i mali di cui siamo anche noi responsabili (la fame e la miseria di tanta parte del mondo, per esempio) non sono affatto meno gravi di quelli che imputiamo ai terroristi.
terzo errore: concepire il perdono in chiave giuridica o morale. Così è per esempio intenderlo come una risposta a chi si è convertito, si è "pentito". Ma chi si è convertito secondo il Vangelo, non ha più bi sogno di a essere perdonato.
II perdono evangelico non è una risposta ad una conversione, ma un’azione gratuita che sollecita la conversione. Non è sufficiente, per capire il perdono cristiano, riferirsi alla parabola del Figliol Prodigo che non è la parabola del perdono, ma la parabola dei 2 figli. Piuttosto bisogna riferirsi a Gesù e alla sua testimonianza e prassi di perdono. Gesù sceglieva di frequentare i peccatori non perché si erano convertiti, ma proprio perché erano peccatori. Per questo era criticato.
Il perdono è un’offerta di vita, non la ricerca (in fin dei conti ancora per possedere) del bene che possono dare o avere gli altri. La legge della vita scoperta da Gesù è che solo donando e perdendo la vita la si può ritrovare. E’ questo il senso dell’esistenza, se è vero che la radice profonda dell’essere è Dio, cioè l’Amore, II perdono è un’iniziativa gratuita di dono.
Il perdono non è neppure un dovere o un impegno morale. Un perdono dato per “dovere etico" significa mettersi su un piano di superiorità rispetto agli altri. Significa sottolineare che noi, nonostante tutto, siamo rimasti buoni e capaci di generosità. Questo atteggiamento è quello tipico dei Farisei, criticato da Gesù.
Gesù ha invece presentato un modello nuovo di umanità, a cui i cristiani devono ispirarsi. Gesù ha indicato la necessità di andare oltre alla legge e al dovere.
Il perdono, secondo la proposta di Gesù, è una offerta di vita in nome di Dio.
Per capire il perdono, dobbiamo ricordare che cosa è il peccato in sen so biblico: non una infrazione morale o giuridica o individuale, ma azione o un atteggiamento che blocca lo sviluppo della vita personale o abbassa il tenore di vita dell’ambiente: o rompiamo i rapporti interpersonali e sociali o sfaldiamo il tessuto della società in cui siamo inseriti.
Il peccato è ogni gesto che ci impoverisce, è "autolimitazione dello uomo" ("Gaudium et Spes ). L'uomo nasce condizionato e limitato, ma è destinato a realizzare la sua identità, sviluppando le sue potenzialità fino a divenire qualcuno di nuovo che non c’è mai stato. Anche la umanità nel suo insieme è chiamata a sviluppare tutte i le sue potenzialità di vita. Ma in questo cammino vi sono ostacoli oggettivi e scelte negative soggettive che inibiscono la realizzazione della vocazione di uomo a cui ciascuno è chiamato.
Il peccato è fatto appunto da tutti questi impedimenti. Non è una semplice trasgressione della legge, perché la legge morale ha compiti limitati e, quando lo fa, ricorda semplicemente le leggi della vita. Ma il peccato è qualcosa di più ampio e profondo, che si capisce cogliendo la realtà di ogni uomo e della umanità come una dinamica in continua crescita. Il peccato è sempre una valenza sociale perché si riflette sulla vita e sull' ambiente.
Il perdono è compiere un gesto per ricuperare il vuoto di vita che è stato provocato, per ricuperare il tempo perduto nel cammino della realizzazione. E’ una offerta di vita per camminare insieme. Diciamo a chi ha sbagliato che gli vogliamo dare la possibilità di riprendere il suo cammino, consapevoli a nostra volta di essere bisognosi di perdono,
Questo gesto, se non vuole cadere nell’illusione "magica", in un sogno di onnipotenza, deve essere compiuto "in nome di Dio". Nel "nome di Dio" però non vuol dire assolutamente che presumiamo che Dio sia con noi. E’ esattamente il contrario: fare un gesto “in nome di Dio" significa che il principio, la forza, la giustificazione di quel gesto non siamo noi, ma è Dio che è il principio della vita e del perdono.
Dire "ti perdono in nome di Dio" è un pò come dire "ti voglio bene" cioè voglio per te il bene che ancora non hai e che nemmeno io ho, ma che Dio, Signore della vita, ti può donare. La forza della nostra libertà è che possiamo suscitare un bene che non possediamo, che non c ‘è ancora nella storia, ma che la fede ci dice che c'è.
D ' altra parte l'amore, l’azione di Dio non può entrare nella storia senza azioni umane. Questo è il senso dell'Incarnazione di Gesù. Allora questo è il contrario della magia, che vuole prescindere dalla fatica dell’azione umana.
Anche il perdono, in senso cristiano, conduce alla coscienza religiosa del nostro essere creature. Non siamo noi la Misericordia, la vita, l’amore, ma noi possiamo renderlo operante perché c'è.
Perdonare vuol dire inserirsi in un processo di riconciliazione. Non sa perdonare chi non è capace di accogliere il perdono. Perdonare vuol dire fare un passo avanti nella nostra comunione di vita.