Fino a non molti anni fa, la religione veniva studiata come un fatto che si identificava con le istituzioni
ecclesiastiche e quindi si tendeva a indagarla nei suoi aspetti interni, in
rapporto alla vita ecclesiastica, con un approccio fortemente ideologico per cui
ogni rilievo critico al riguardo veniva letto come un affronto lesivo al
depositum fidei in quanto tale. Sul versante “laico”, il dato
doveva essere letto come una variabile residuale o perché da subordinare
al processo produttivo o comunque come un dato
marginale, in eclissi rispetto alla modernità, ai processi della società
industriale. E’ all’interno di questo quadro che si comprende la
considerazione paradossale di Stalin sulla irrilevanza della chiesa cattolica e
del Papa, data l’inconsistenza delle sue divisioni militari.
All’indomani dell’89 appare invece ritornante, quali che
siano le risposte al riguardo, la riflessione sul ruolo delle religioni negli scenari nazionali, europei ed
internazionali in genere. Dopo la crisi della cortina di ferro, Huntington è
stato fra i primi a richiamare l’attenzione sulla cortina di velluto che si
stava installando. Dopo il crollo del comunismo, i nuovi blocchi etico-culturali
avrebbero svolto un ruolo basilare nello scenario geopolitico. In molti si è
andati richiamando l’attenzione al ruolo di instabilità socio-politica
provocata dall’Islam e dal blocco buddista-confuciano. Non voglio qui
riprendere la discussione sui limiti di un tale impianto che si basava su una
lettura aprioristica della compattezza delle realtà confessionali come
l’Islam o il Cristianesimo, senza alcuna avvertenza a distinguere le
differenze esistenti all’interno delle varie confessioni. Le minacce semmai
sarebbero da percepire in modo trasversale, perché nuovi paradigmi, nuove
affinità etico-culturali avvicinano e dividono il fenomeno religioso ben al di
là dei referenti formali delle distinte confessionali.Qui
mi preme prendere in considerazione i termini del rapporto fra religioni e
identità degli stati nazionali, accantonando tutta una serie di problematiche
anche affini, per affrontare il quadro di talune
situazioni della mappa geopolitica contemporanea.
1.Religioni e post-secolarizzazione
In questa sede si cercherà di riflettere sul senso della
rilevanza politica che sono andate assumendo le religioni, sul significato della
presenza delle religioni nello scenario politico. Alcuni brevi cenni preliminari
per meglio cogliere il profilo del paesaggio in atto.
Qual è la situazione a livello europeo?
Non posso soffermarmi ad analizzare lo stato e il senso delle
religioni civili. Non discuterò se in Italia esista una religione civile, cioè
un insieme di simboli che i cittadini fanno propri, al di là delle religioni in
senso proprio, per creare il senso della comunità. Al riguardo va tenuto
presente che gli italiani, che si definiscono cattolici per oltre l'80% , hanno
un senso del "noi" politico assai debole e questo si coniuga col
familismo, col localismo: ognuno per sé e Dio per tutti è uno stereotipo
fortemente diffuso. La pratica festiva non supera il 30%, con un pubblico
prevalentemente femminile ed esterno alle fasce delle età centrali della vita.
Diffuso è il deficit di etica cattolica in materia sessuale, l'accettazione di
valori consentanei ai consumi, e, parallelamente, la diffusione di
autoritarismo. E’ stato lo stesso cardinal Martini, in occasione della festa
di S. Ambrogio a Milano, a chiedersi: "Chi l'ha detto che i cattolici, per
vocazione, si debbano collocare fra i moderati? Dove sta scritto che un
cattolico deve essere, nell'ambito politico, un moderato?". E'
vero, però, che lo schieramento del cattolicesimo ufficiale, in
politica, è attestato su posizioni moderate.
Costante resta il senso di progressiva disaffezione alla
Chiesa. Pensiamo a come, fino a pochi anni fa, specialmente in talune aree del
nord italiano, compreso il bergamasco, il suono delle campane ritmasse la vita
quotidiana, i periodi dell'anno, il lavoro dei campi. Tutta la vita era ritmata
dalle stagioni rituali della Chiesa: la nascita, l'amore, la malattia, la morte.
In ognuno di questi momenti interveniva pubblicamente la Chiesa, con sacramenti
o riti. Oggi invece si fa dell'ironia se in meridione si fanno processioni
propiziatorie quando da settimane non piove. Un tempo manifestazioni di questo
tipo erano all'ordine del giorno. Con l'avvento della secolarizzazione, i
soggetti hanno assunto decisioni sempre più autonome. Per arginare questo
fenomeno, nel 1949, con l'emergere del movimento operaio e del Partito
Comunista, la Chiesa intervenne con il Decreto di Scomunica. Effetto: i
comunisti sono aumentati. Anno dopo anno, la Chiesa ebbe sempre meno rilevanza
nello scenario pubblico.
Per fare un altro esempio, si ricordi la Sicilia degli anni de
"Il Gattopardo", quando l'arcivescovo di Palermo era Ruffini. In base
al suo modello ecclesiologico, l’elemento basilare dell’azione pastorale per
garantire la peculiarità della cristianità siciliana, perché questa era la
gemma da garantire e da difendere, doveva essere la lotta anticomunista, resa
possibile dall’alleanza di tutte le forze anticomuniste contro la sinistra. A
tal fine egli arrivò a stabilire un rapporto con il generalissimo Franco,
ritenendo il suo regime il modello di società cristiana cui guardare e a cui
ispirarsi.
L'unica sua preoccupazione era che i comunisti non stessero al potere e che
fossero esclusi da tutto lo scenario politico, dalle cattedre universitarie, dai
giornali. La chiesa siciliana, preoccupata per il “nemico ideologico”,
teneva meno conto o addirittura sottovalutava i reali pericoli che si annidavano
nella struttura siciliana, dominata dalle élites locali delle clientele e della
mafia. Il sistema ecclesiastico trascurava altresì di prendere in
considerazione le ambiguità della cultura dell’ “etica pubblica” che
“non poteva darsi come scontata cristianamente neanche nel partito
cattolico”.
Oggi questo disegno è nettamente sconfitto: è entrato in
crisi il senso di un partito confessionale, ma il fatto peggiore è che, in
seguito al voto di scambio e alla lottizzazione, è in crisi la stessa
democrazia. La bassa partecipazione elettorale a cui assistiamo, oggi, non è un
fatto da sottovalutare.
Un noto sociologo, parlando del Canada, ha affermato che
"la credenza è andata in vacanza". Ciò è molto sintomatico anche
per la realtà europea, dove si va diffondendo
un credere "a modo mio". Sempre più si consolida l'idea che la
credenza non possa contare su un magistero assoluto.
Si assiste ad un
processo di privatizzazione e di frammentazione, ad una babele espressiva del
credere
1.1.In Italia, il transfert etico?
In questo sfondo, nonostante tutto, la Chiesa
come istituzione è sempre più presente nello scenario pubblico, vuoi
tramite i mezzi di comunicazione quali la televisione e i giornali, vuoi tramite
la pubblicità, vuoi tramite l’azione di pressione esercitata dal Papa e dai
vescovi sulle forze politiche. Si assiste quindi ad un pressing mass mediale
che non è la conseguenza della pressione coscienziale dei credenti,
quanto delle strutture ecclesiastiche, quasi fossero una delle lobby, un
singolare gruppo di pressione.
Peraltro, nello sfondo dei processi di globalizzazione che si
rafforzano, con i grandi fenomeni migratori, con le innovazioni dei fenomeni
interculturali, delle grandiose innovazioni tecnologiche, comprese quelle che
investono gli ambiti della
ingegneria bio-etica, si assiste a sfide che riguardano gli stati, i gruppi e la
coscienza dei soggetti.
Nuovi problemi sono posti dalla richiesta di legalizzazione
delle droghe, dalle trasformazioni dell’intimità e quindi, da una parte,
dalla domanda di pari opportunità fra i sessi, dall’altra dalle nuove
problematiche connesse alla coppia e alle trasformazione della famiglia.
Con la crisi delle grandi ideologie politiche e degli stessi
grandi partiti storici, si assiste alla crisi dello Stato e delle istituzioni
pubbliche. Davanti a questo scenario, venuto
meno il partito confessionale, si assiste ad “una scesa in campo” a livello
mediale e culturale delle istituzioni ecclesiastiche. L’anno del Giubileo è
un’occasione speciale per avvertire come la chiesa cattolica in Italia, per
quanto minoranza sul terreno dell’esperienza religiosa dei cittadini italiani,
sia una presenza significativa a livello della medializzazione. Le forze
politiche, prive di un forte progetto di riferimento, usano tatticamente tutte
le opportunità per acquisire
consenso. Diversi partiti presentano come piattaforma nuove maggioranze morali
in nome della famiglia, la difesa della vita, la scuola privata. Il tradizionale
appello “pro aris et focis” viene riplasmato in funzione sussidiaria delle
istituzioni statali accusate spesso
di statalismo contro la libertà. La Chiesa tende a porsi come animatrice della
società, ma il suo rientro pare affidato al tranfert dal religioso all’etico,
al culturale.
A questo proposito, si pensi al fenomeno del Giubileo. Milioni
di persone giungono in Italia: ma che rapporto c'è fra questo evento di massa e
un evento di fede? Secondo alcuni, il Giubileo è un compromesso con la
modernizzazione, un indulgere al trionfo della secolarizzazione. La Chiesa si fa
spettacolo?
Ma quale modello di fede sottende? Fino a che punto una tale
presenza si innesta in una prospettiva “missionaria” propria di una società
dal pluralismo religioso? Ed anche in ordine alla stessa storia
dell’esperienza religiosa degli italiani, quale paradigma fa proprio, quali i
propri ancoraggi di riferimento?
1.2.Quale anima per l’Europa?
Il metodo Monnet risente troppo di modelli legati alle sorti
magnifiche e progressive della crescita senza limiti, quasi fosse scontato che
il secolo XXI sarà meno disastroso del XX in tutto il mondo e non solo nel
nostro continente. Non sono dati come
scontati né la pacificazione economica dell’Europa né la pacificazione
militare. Se non si vuole mettere a duro rischio la legittimità delle nostre
istituzioni, occorre stabilire i fondamenti geopolitici della democrazia
europea. La stessa questione della cittadinanza europea postula la messa a punto
di nuovi significati di democrazia, di partecipazione, di responsabilità, di
cultura civile. D’altra parte occorre fare ben attenzione ai segnali che
pongono in evidenza come al federalismo solidale, gestito dagli stati nazionali,
si affianchi quello etnico nazionale basato sul sangue e sul suolo, in base al
principio “ciascuno a casa sua”.
Quale il ruolo delle religioni nell’ambito del processo europeo in atto? Si è anni luce
dall’Europa del “cuius regio eius
religio”, ma anche da quella in cui una religione può attribuirsi le
prerogative del monopolio anche in una sola nazione. Si è cittadini
indipendentemente dalla religione. Va notato che le varie religioni, con le loro
pratiche ed i loro rituali, sono spesso centrali nella totalizzazione simbolica
ed istituzionale dell’etnicità e dell’identità nazionale. Non è un caso
che i simboli religiosi vengano usati per le loro mobilitazioni, come la
pulzella di Orleans da Le Pen in Francia o il Beato Basilio in Russia.
L'Europa si trova in una situazione di pluralismo, di
provvisorietà, di incertezza, dove i cardini sono venuti meno e i partiti sono
in crisi. “To give a soul for Europe” è il grido di Delors insistentemente
ripetuto. Ma come?
In un intervento al R. Istituto per le Relazioni Internazionali
a Bruxelles il 14.1.1987, il card. G.Danneels indicava che il ruolo della chiesa
cattolica sul piano europeo poteva essere schematicamente indicato in tre punti.
Prima di tutto la chiesa si propone come interlocutrice autonoma per aiutare
“a trarre vantaggio, nella pratica, dalle trasformazioni e dai cambiamenti,
per procedere verso un mondo sempre più felice”, aiutando a discernere i
buoni dai cattivi usi. Secondo: la competenza della chiesa è di ordine
essenzialmente morale. Questo ruolo che essa si ritiene da sola in grado di
assolvere, non le deriva da una qualsivoglia disciplina, ma dalla volontà di
Dio di cui essa traduce fedelmente il pensiero e la volontà.
Terzo: l’accento è posto sul ruolo di mediazione morale della chiesa.
Non pochi teologi esprimono il loro disappunto sul prevalente
intervento morale delle religioni, tramite i loro appositi organismi. “Le
chiese - osserva Heinrich Fries - avrebbero anche oggi molte cose da offrire
come luoghi di comunione solidali, di orientamento religioso e di riflessione
sulle cose realmente importanti della vita. E’ davvero tragico vedere come
questo capitale sia sperperato da istituzioni immobili”.
2. Ortodossia e nazionalismo in Grecia
Una situazione di particolare interesse è costituita dall’
Ortodossia dei paesi balcanici. Spesso accade di coglierla relegata
all’interno di un’ortoprassi liturgica di tipo quasi folclorico, addirittura
una risorsa ideologica ed etnica di alcune nazioni. In tal senso rischia di
essere associata ad un presuntuoso rifiuto e ad un isolamento di fronte ai
valori della modernità. La sua tradizione e la solidarietà di ordine
meccanicistico cui viene associata spesso paiono indurre alla
deresponsabilizzazione personale e ad un prevalente fattore di appartenenza
tradizionalistica. Interno ad essa invece c’è un insieme di figure e di simboli
che propongono un modo nuovo di vivere la tradizione .
Specialmente nei paesi che hanno conosciuto i regimi comunisti
e l’ateismo di stato, si cerca di affermare il diritto alla presenza libera
della chiesa nello stato e la necessità di una cultura basata sui valori della
tradizione religiosa, dell’Ortodossia. Stando anche al contributo di Ion Bria,
si possono distinguere quattro tendenze nella teologia ortodossa oggi: quella
che fa leva sul modello mistico, quella del modello evangelico o fondamentalista,
quella del modello liturgico e quella del modello conciliare. Secondo Bria, il
pensiero teologico ortodosso soffre oggi della mancanza di uno sviluppo
dottrinale proprio e di deboli
contributi che non sono altro che ripetizioni della teologia tradizionale.
Preferisce purtroppo ripetere le tradizionali formule invece di avanzare
proposte attuali alle sfide teologiche del tempo.
La teologia “ha perso la sua funzione critica, ha tollerato posizioni estremiste e
perfino falsi insegnamenti di
imperatori, di patriarchi e di autorità ecclesiastiche”. Questa teologia
riflette un modello di società cristiana fondata sul modello di Costantino”
ed è incapace di tracciare una distinzione fra chiesa e stato, e di delineare
il nuovo posto della chiesa all’interno delle società che emergono. Bria
tocca qui forse il punto più importante. Il comunismo ha escluso la religione
dalla vita sociale; col suo fallimento, si reagisce con
una forte valorizzazione delle tradizioni religiose, riattivando un
modello in cui la chiesa si intreccia con lo stato, con i gruppi sociali e con
la cultura che lo sostiene. Uno dei fattori della crisi dell’ex Yugoslavia va
cercato nell’aver sostituito al modello comunista un altro per cui in ogni
stato sovrano sarebbe dovuta
esserci solo una religione. La religione avrebbe dovuto essere l’agente della
plausibilità nazionale in base all’antica dottrina della sinfonia fra chiesa
e stato. Questo rischia di alimentare una prospettiva etnocentrica come si è
verificato nel Kossovo alla fine del Novecento. La battaglia del 1389 a Kosovo
Poije contro i turchi e la morte del duca Lazar, vengono riscritti in termini
biblici di una nuova alleanza fra Dio e Milosevic quasi egli fosse il Mosè del
popolo serbo.
La retorica dell’antica battaglia del 1389 avrà un esito nefasto sulla
guerra del 1999.
Specialmente nel caso della Grecia è semplicistico affermare
che la Chiesa difende la nazione e viceversa, sic et sempliciter, perché
entrano in gioco altre variabili. Parlando dell'indipendenza della Grecia, per
esempio, si è ritenuto per lungo tempo che, una volta riscattata dall'Impero
Ottomano, essa avrebbe dovuto dar vita al nuovo Impero Bizantino, recuperando
non solo i territori greci, ma anche parte dell'Asia Minore, legata alla
tradizione cristiana dei primi tempi, alla predicazione di Paolo.
Dopo la formazione dello stato nazionale moderno, il
nazionalismo è stato bagnato dall'Illuminismo
e dal Romanticismo europei.
Oggi è ancora molto forte in Grecia la concezione che la
nazione greca non sia soltanto quella dentro i confini o quella della comunità
greca sparsa nel mondo. Si pensa, piuttosto, ad una Grecia legata ai destini
dell'Impero Bizantino e all'idea ellenica della Grande Grecia. E’
comprensibile, perciò, che quando pensiamo al problema dei rapporti fra stato e
religione in questo paese si tratta di affrontare, ancor oggi, una mediazione
complicata.
In Grecia c'è stato il periodo dei colonnelli e la Chiesa si
è divisa al suo interno in posizioni profondamente distanti. C'era chi era con
i colonnelli, chi con la democrazia, chi con la monarchia. Questo principio
nell'articolazione storica assume forme differenziate e conflittive che si
rinnoveranno anche negli anni successivi. La chiesa ha creato la propria
mitologia promuovendo la sua immagine come bastione decisivo dell’identità
nazionale greca nel corso della storia specialmente durante il dominio Ottomano.
Questa teoria viene spesso usata oggi per confermare i legami fra ortodossia e
identità nazionale greca ed opporsi ai tentativi di separazione fra chiesa e
stato. Con tutto ciò non trova molto consenso l’idea secondo cui nazionalismo
e ortodossia si connettano nella Grecia moderna al punto di dar vita ad un
Commonwealth bizantino, per far fronte alle sfide contemporanee.E’
comunque un fatto paradigmatico che nella Grecia moderna ortodossia e
nazionalismo siano inestricabilmente intrecciati. Non è un caso che in anni
recenti, in connessione con l’ingresso della Grecia nella Comunità Europea,
si sia richiamata l’attenzione su tendenze che sostengono l’esistenza di una
speciale identità greco-ortodossa, basata sulla sua identità culturale che è
espressione di un irrazionalismo mistico ortodosso, di un nazionalismo motivato
religiosamente e di un separatismo da “resto eletto” rispetto all’Europa e
al resto del mondo.
Al momento attuale sono molte le manifestazioni dello stretto
rapporto collaborativo esistente fra la Chiesa greca e lo stato su questioni di
interesse nazionale. Qualsiasi iniziativa della chiesa la si considera spesso da
un’angusta prospettiva nazionale. Lo stato si interessa principalmente di
ottenere vantaggi da questa collaborazione e dalla promozione dell’ortodossia
a livello mondiale, dando per scontato che essa sia veicolo dell’ellenismo
ed anche degli interessi nazionali. La questione che mostra meglio i
risvolti nazionalistici che l’Ortodossia greca può acquisire, la si desume
dal modo con cui lo stato continua a considerare i tradizionali patriarcati
orientali. Non stupisce che il patriarcato di Costantinopoli sia oggi in mani
greche e rimanga in stretta collaborazione con lo stato greco. Un altro esempio
lo si può cogliere nel patriarcato di Gerusalemme che è controllato da una
gerarchia ortodossa di origine greca, in stretta collaborazione con lo stato
greco all’interno di una maggioranza di credenti locali di lingua araba.
Questo conserva un forte carattere nazionale nelle sue attività e viene
considerato come un bastione, in genere, dello spirito ellenico, nonostante le
reazioni in senso negativo della
popolazione indigena ortodossa, anche in ordine al conflitto fra israeliani e
palestinesi.Problemi
simili sono stati creati recentemente in Albania quando è stato eletto
arcivescovo della Chiesa ortodossa locale, nel 1992, un eminente ecclesiastico
greco, A.Yannoulatos. In un periodo di rinnovata tensione fra i due paesi, la
nomina del vescovo greco è stata considerata, da parte del governo albanese,
come un sotterfugio per ellenizzare la chiesa ortodossa albanese.
3.Il caso della Santa Russia
Vale la pena di ampliare lo sguardo sull’ortodossia russa.
Dopo l’89 si sono manifestate due posizioni. Una ha ritenuto che la fine del
comunismo significasse l’affermazione della democrazia e di un sistema
politico fondato sul modello americano quasi che quello fosse l’unico e il
possibile. Il contributo di Fukuyama ha ritenuto di poter sostenere con molta
forza che con il crollo dei regimi comunisti la stessa storia potesse
significare la sua fine. L’unico modello possibile sarebbe stato quello che
veniva a trovare un suggello nel modello americano. L’altra, molto forte in
ambiti ecclesiastici, ha ritenuto che con la fine del comunismo si sarebbe
registrato un trionfo della Chiesa. Le profezie segretamente conservate per
decenni si sarebbero palesemente verificate con l’affermazione del
cristianesimo. Dopo anni di persecuzione, le Chiese avrebbero conosciuto un
periodo di trionfo. Al riguardo è
opportuno segnalare come effettivamente nei paesi post-comunisti si sia cercato
di recuperare diritti e privilegi del passato. Quasi che i settant’anni
potessero essere cancellati con un colpo di spugna. Il patriarcato di Mosca e il
clero, in forza di nuovi rapporti che si sono creati con il governo hanno
recuperato importanza sul piano politico, con una deprivatizzazione della
religione e il recupero della sua importanza sullo scenario geopolitico,
producendo legami fra l’ortodossia e taluni blocchi culturali; con il
rafforzamento del concetto di ortodossia come religione nazionale e con il
conseguente rafforzamento delle norme che limitano le attività missionarie
quali che siano, producendosi uno scontro fra libertà di religione e la
protezione delle comunità indigene. In tutta l’Europa, specialmente in
Russia, le chiese ortodosse hanno giocato un
ruolo preminente nella salvaguardia dell’identità culturale. Di fatto,
nonostante la forte rivendicazione dell’ortodossia, è mancata e manca una
seria autoanalisi che ponga di fronte ad un’attenta indagine circa la
effettiva identità religiosa all’indomani del comunismo. In tutta l’Europa
centrale ed orientale, la caduta del regime ha lasciato un drammatico vuoto di
valori e di ideali che è stato rapidamente riempito dagli stili di vita della
società di massa. Anziché il trionfo della spiritualità cristiana, in Russia
e in tutti i paesi post-comunisti si assiste ad un travaglio drammatico. Dunque
è mancata un’analisi circa la natura della religione ortodossa così come è
diffusa. Il politologo Huntington afferma che il confine culturale dell’Europa
è lo spartiacque storico che da secoli divide i popoli dell’occidente da
quelli islamici e ortodossi. Cristianesimo occidentale, latino, e cristianesimo
ortodosso apparterrebbero a due modelli diversi di civiltà, e là dove comincia
l’ortodossia finirebbe l’Europa. Questa posizione nasconde un grave
pericolo: quello di creare in Europa una nuova cortina di carattere culturale,
sulla base di un’incompabilità di fondo fra tradizione europea occidentale e
orientale ortodossa. Cortina che avrebbe conseguenze nefaste sulla possibilità
di costruire un’Europa comune e raggiungere uno sviluppo politico, economico e
culturale integrato per tutti i paesi del continente. Del tutto ingiustificata
pare la riduzione dell’ortodossia a fattore culturale generatore di un diverso
modello di civiltà. Importante oggi è la costruzione di un dialogo costruttivo
con le società di tradizione ortodossa, per valutare concretamente i fini
etici, sociali e spirituali che ci si propone di raggiungere. L’ortodossia ha
una dimensione articolata e pluralista al suo interno. Noi riteniamo che, se
l’ortodossia fa parte delle tradizioni diffuse dei popoli slavi, come deposito
della cultura nazionale dei vari stati, questo è oggetto ben distinto e diverso
da un’esperienza religiosa autonomamente scelta e vissuta. Esiste certo il
pericolo che determinate correnti identifichino la tradizione ortodossa con un
nazionalismo politico e culturale antioccidentale, il cosiddetto ortodossismo,
ma questo non costituisce il quadro etico e culturale di fondo. La “Revanche
de Dieu” come è stato chiamato il ritorno della religione nello spazio
pubblico, se non chiarisce l’effettiva presenza del religioso, sta a indicare
una discontinuità rispetto ai valori e agli ideali della modernità. In
particolare, a ben osservare, sta ad indicare la ripresa clericale delle autorità
ecclesiastiche, non già dei valori religiosi e morali con senso proprio.
Accanto ai valori consumistici, resistono gli ideali dell’homo sovieticus.
Debole appare il senso di responsabilità nell’esercizio delle pubbliche
attività, debole il senso della pubblica moralità, debole il senso della
personale autonomia. Indagini recenti pongono in risalto come sia superficiale
l’atteggiamento diffuso nei confronti di quel continente. Mi riferisco
all’indagine del Pastorale Forum di Vienna del 1998 condotta su un campione di
1000-1200 persone fra i 18 e i 65 anni in dieci paesi: Germania est,
Cechia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Lituania, Ucraina, Croazia,
Romania, Polonia.
I paesi in cui più netta è la disaffezione religiosa sono,
nell’ordine: la Cechia, la Germania est, l’Ucraina, l’Ungheria e infine la
Slovenia.
Non indica alcuna appartenenza religiosa il 73% dei Cechi, il
72% dei tedeschi, il 68% degli ucraini, il 40% degli ungheresi. La
modernizzazione induce effetti negativi verso la religione dappertutto, ma in
Polonia il dato è particolarmente devastante. Di fronte ai grandi riti ovunque
si assiste ad una diminuzione di partecipazione da parte della popolazione nata
dopo il 1975.Ma il dato più sorprendente è l’emergere di una vera e propria
“nostalgia di comunismo”. Il 53% del totale sui 10 paesi indagati ritiene
che il periodo più felice dei decenni trascorsi sia quello “fra il 1945 e il
1989”con punte del 74,3% in Ucraina, del 60,7%in Ungheria, del 58,1 in
Slovenia e in Slovacchia, del 55,5% in Lituania, del 50,6% in Germania
Orientale. La nostalgia è motivata da motivi quali: la sicurezza per la
famiglia, il lavoro e la vita sociale. ”Il pane è più prezioso della libertà”
è stato ribadito. ”L’homo sovieticus è fortemente radicato nell’Europa
orientale”.
Nel suo libro “Derzava” (Potenza) il leader comunista
Zjuganov illustra le proprie idee geopolitiche motivando come ogni forma
politica per affermarsi necessiti di un nobile ideale “Per la Russia tale
forza motrice è stata rappresentata dall’ispirazione a incarnare nella
propria esistenza gli ideali di giustizia e di amore, di pietà e di
misericordia, di fede e di fedeltà che fin dai tempi più antichi sono stati
riflessi nel nome stesso che il Paese si è dato:
Santa Russia ”
Per la maggioranza
dei russi, l’Ortodossia ha cominciato a svolgere un ruolo ideologico di
simbolo nazionale e culturale. Eppure, nello stesso tempo, la religiosità
istituzionale non raggiunge il 10% della popolazione e da allora non è
aumentata. Eppure, in quelle stesse repubbliche, la vera religiosità della
popolazione cresce molto lentamente e la religione viene considerata
essenzialmente nel suo significato ideologico. Il paradosso di questa situazione
tuttavia sta nel fatto che l’opinione pubblica in Russia ha conservato, in
linea generale, il rispetto per la democrazia e i diritti umani, nonché la
tolleranza nazionale e religiosa. Il crescente divario fra la effettiva
coscienza religiosa e la politica(inclusa la coscienza politica di coloro che
praticano la religione) e le direttive ideologiche della Chiesa porterà, a
parere di molti, ad un conflitto aperto, a seguito del quale la Chiesa e la
società stessa dovranno riconsiderare le proprie posizioni.Non
vanno trascurate infatti le tendenze integraliste destatesi in alcuni circoli
ecclesiastici e il loro impatto negativo sulla missione della Chiesa stessa
nella Russia contemporanea. Che ne è della tradizione spirituale, ascetica e
mistica? L’impressione costante che si ha venendo a contatto con il mondo
ecclesiastico ortodosso russo è che gli ambienti ecclesiastici siano divenuti
gli eredi del potere, dello stile, del linguaggio del Soviet Supremo. Sfugge o
è accantonata ogni distinzione fra fede e cultura dell’Ortodossia. L’unica
espressione ortodossa sta o viene garantita a Mosca. Costantinopoli è mera
realtà archeologica. Il mosaico
etnico-culturale si frammenta sempre di più, complice l’intromissione ancor
più destabilizzante, dai confini ancor più labili della religione. Accanto
all’Ortodossia infatti l’Islam è la religione dominante nel Caucaso e in
Asia centrale.
La Russia non è
comprensibile se non con la presenza della Chiesa Ortodossa. Il fatto curioso è
che il Partito Comunista abbia assunto in Russia posizioni decisamente
nazionaliste e tradizionaliste. Nella campagna elettorale del 1994, un parroco
moscovita di nome Costantino Buffer ha pubblicato sulla Pravda del 14 giugno di
quell'anno un articolo intitolato “Le nove ragioni per votare il comunista
Djuganov. Perché un comunista deve votare Djuganov?’’ A suo avviso chi è
fedele ai valori della patria russa e al destino del patriarcato di Mosca non ha
altra alternativa al partito comunista, che è il garante della tradizione
dell'Armata Rossa, della grandezza passata della Russia. Questo partito, che
vuol salvare i grandi ideali della Russia, non può escludere i valori della
Santa Russia. E' curioso vedere
come ambienti comunisti recuperano filoni culturali dell'ottocento
che in qualche modo valorizzavano questa sintonia tra Santa Russia e la
Grande Russia. Putin, l’ex responsabile del V° Dipartimento del Kgb,l a
sezione che si prendeva cura delle attività sovversive e religiose, insediatosi
al Cremlino, ogni domenica si fa riprendere dalla TV mentre prega con la candela
accesa, senza aver mai chiarito le sue posizioni, soprattutto senza mai aver
chiesto scusa delle sue precedenti responsabilità.
Conclusione
Alla fine del
Novecento, contrariamente a quanto avevano previsto i teorici della
secolarizzazione non si è verificato “il disincanto del mondo”; sono in
molti a registrare il “brusìo degli angeli” (Berger), ma soprattutto una
nuova rilevanza pubblica delle religioni che assumono un singolare ruolo di
natura geopolitica. Il giudaismo, il cristianesimo, l’islam, il buddismo,
nelle loro molteplici forme, sembrano svolgere un importante ruolo nello
scenario politico. Nuovi movimenti e nuove forme religiose sembrano assumere una
particolare forma di plausibilità. Si potrebbe dire che il religioso, in un
tempo di crisi delle grandi ideologie, va d’accordo con il revival
etnico-nazionale. E’ in questo sfondo che si manifesta la propensione a
presentare le nazioni in termini di Urfolk, dentro categorie atemporali,
immutabili, con un destino eterno. Di qui il senso del frequente uso di
espressioni quali “la Croazia sacra”, ”la Serbia celeste”
che interpretano i conflitti sociali quasi fossero naturali, tra civiltà
contrapposte.
Si verifica il paradosso che il nazionale e il religioso si
rafforzano mutuamente, contrapponendosi simultaneamente alla secolarizzazione ed
al secolarismo, ma anche all’universalismo, considerato troppo astratto,
anemico ed egualitario. In Occidente le religioni tendono a rioccupare lo
scenario pubblico, in un tempo di depoliticizzazione sempre più acuta, come
tranfert della morale.
Occorrerà un lavoro attento e articolato di ricerca
ben al di là di ripiegamenti strettamente confessionali, recuperando il
religioso in quanto risorsa simbolica, singolare fattore sociale che può
contribuire alla regolazione in senso solidaristico del mercato, alla
eticizzazione della politica, a rafforzare il senso di civismo, a “ridare
un’anima” al mondo.
In questa sede mi sia consentito esprimere, a modo di
conclusione, anche un auspicio, proprio all’indomani della richiesta di
perdono per le colpe commesse dai cristiani: che lo scenario politico, e quindi
il rapporto religione e politica, sia riattraversato da un “sussulto
mistico”.
Conversazione tenuta presso la Fondazione "Serughetti La
Porta" il 20 gennaio 2000.
Testo rivisto
dall’Autore
Per una trattazione più
organica mi permetto rinviare a A.Nesti, Una scommessa da viandante. Sulle religioni del futuro (in
preparazione)
F.M.Stabile, I
consoli di Dio, Sciascia Roma-Caltanisetta,1999.
Heinrich
Fries, Di fronte alla decisione. Le
Chiese diventano superflue?, Brescia,Queriniana,1995.
I.Bria, Time
to Unfold Ortodox Theology: Problems and Ressources in Contemporary Trends, Thessaloniki,1996
(pro manoscritto)
Milosevic non ha fatto che
sfruttare l’esplosivo potenziale della falsa mitopoiesi connessa a quella
sconfitta. Come è noto, quando sei secoli fa i turchi sfondando a Nord,
vicino a Pristina, sul Campo dei Merli, sconfissero l’esercito del duca
Lazar, la classe dirigente tradì fuggendo al Nord. A quel punto il popolo
rimase abbandonato, a proteggere i monasteri rimasero le truppe del sultano
e a coltivare i campi abbandonati arrivarono gli albanesi. Il mito della
sconfitta come santificazione
del popolo serbo ha fatto da sfondo a generazioni di cantastorie. La Serbia,
benedetta da Dio, aveva ricevuto la corona del martirio. vedi P.Rumiz, Nel
mattatoio delle memorie, in “La
Repubblica” 31marzo 1999, p.13.
V.Hydias, Balkaniki
Koinopoliteia, Atene 1994
Cfr.D.Kitsikis, I
triti ideologia kai i Orthodoxia,Atene,1990.
Un’ampia discussione
sulla questione, ancora di attualità, si trova in D. A. Luidens,
SelfPreservation and the Embattled Church: The Case of the Greek Orthodox
Patrarchate of Jerusalem,in A.Shupe,J.K.Hadden(edds) The
Politics of Religion and Social Change:Religion and the Political Order,vol.2,New
York,1988,pp.207-238.
M.Tomka8a e P.Zulehner,Religion
in den Reforlaender Ost(Mittel)Europas,Schwabenverlag,Berlin 1999.
G.Zjuganov La
potenza come destino in “Lines”2,1996,46.
S.Filatov, La
religiosità post-sovietica: dall’eclettismo religioso alle fedi nazionali,
Fondazione Agnlli,Torino,1999 (pro-manoscritto).
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